“Sono profondamente rammaricato, provo addirittura odio nei riguardi della mia città guardando questa chiesa”, così il regista Pupi Avati ha commentato la poca gente intervenuta alle esequie dell’attore bolognese Gianni Cavina, scomparso a 81 anni nella sua città il 26 marzo scorso. Inaccettabile, secondo Avati, è stata soprattutto l’assenza delle istituzioni municipali di Bologna: “Dopo tutti quei riconoscimenti letti sui giornali e visti in Tv”, ha detto il regista ai giornalisti fuori dalla Chiesa del Sacro Cuore, “mi aspettavo altrettanto per questo ultimo saluto. Gianni lo meritava, per quello che ha fatto sempre pensando alla nostra città, lui che la bolognesità l’ha portata ovunque. Le autorità, le istituzioni avrebbero dovuto tenerne conto, coglierne l’importanza e quindi esserci. Purtroppo così non è stato”.
Gianni Cavina, classe 1940, è stato l’attore feticcio di Pupi Avati, dall’esordio in Balsamus, l’uomo di Satana (1968) all’ultimissima collaborazione nel film Dante, in uscita il prossimo settembre, in cui Cavina, già malato e sofferente da tempo, ha interpretato il ruolo del notaio ravennate Pietro Giardini amico del sommo poeta. Il sodalizio artistico (e con esso una solida amicizia) tra Avati e Cavina è durato oltre cinquant’anni, tra film grotteschi (il già citato Balsamus, l’uomo di Satana e Tutti defunti… tranne i morti, 1977), commedie (La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, 1975, Bordella, 1976), horror gotici padani (Thomas e gli indemoniati, 1970, La casa dalle finestre che ridono, 1976, Il signor Diavolo, 2019), film biografici in costume (Noi tre, 1984, Dante, 2022), drammi (Regalo di Natale, 1986, Festival, 1996, Gli amici del bar Margherita, 2009, Una sconfinata giovinezza, 2010), miniserie televisive (Jazz Band, 1978, Dancing Paradise, 1982). Per la sua performance in Festival nel ruolo del manager Renzo Polpi al fianco di Massimo Boldi, nel 1997 Cavina si era aggiudicato il Nastro d’argento come miglior attore non protagonista.
Ma non c’è stato solo Pupi Avati nella lunga carriera di Gianni Cavina. Altri registi hanno potuto metterne in risalto le doti di caratterista e di attore poliedrico dai mille volti, da Mino Guerreri (Buttiglione diventa capo del servizio segreto, 1975) a Luigi Comencini (L’ingorgo, 1979), da Tonino Cervi (Il turno, 1981) a Marco Bellocchio (Il regista di matrimoni, 2006), da Paolo Cavara (Atsalut pader, 1979, La locandiera, 1980) a Sergio Staino (Non chiamarmi Omar, 1992). Nei primi anni Ottanta, dopo aver preso parte alla commedia sexy di Sergio Martino Cornetti alla crema (1981) con Lino Banfi e Edwige Fenech, fu conduttore di un programma televisivo in 6 puntate intitolato Le regine, scritto e diretto da Eros Macchi, dove era affiancato di volta in volta da una grande protagonista dello spettacolo italiano: Monica Vitti, Paola Borbone, Moira Orfei, Loretta Goggi, Paola Pitagora, Valeria Moriconi.
Non si può non ricordare poi la serie televisiva L’ispettore Sarti, andata in onda sulla Rai in due stagioni tra il 1991 e il 1994, di cui Cavina (anche in veste di sceneggiatore) è stato protagonista assoluto nella parte dell’ispettore bolognese Antonio Sarti, personaggio ispirato ai racconti di Loriano Macchiavelli: 19 episodi, tutte storie ambientate a Bologna, città con la quale l’attore ha sempre mantenuto un legame profondo e dove, nonostante col tempo il capoluogo emiliano avesse perso un po’ della sua vitalità e dei suoi fermenti artistici e intellettuali, ha continuato a vivere fino alla fine, nel rione della Bolognina, il quartiere in cui erano cresciuti suo padre e suo nonno e per il quale sentiva un’attrazione che potremmo definire ‘genetica’. Proprio nei cabaret della sua città, negli anni Sessanta Cavina aveva mosso i primi passi in coppia con l’amico Lucio Dalla, in un curioso, improbabile scambio di ruoli che vedeva il primo in veste di cantante e il secondo in veste di attore. Testimonianze del Cavina musicale sono rimaste, ad esempio, in alcuni dischi a 45 e 33 giri, tra cui l’album dal titolo Alzati e Cavina che contiene anche il brano Un poliziotto, una città sigla della serie L’ispettore Sarti: “Splendida ma oramai, bastarda pure tu, stanotte fammi un po’ di compagnia. Forse ti scoprirò, sporca di un vizio in più, sotto quel trucco da periferia […] Fai l’università, da secoli oramai, dotta di proletari e di mistero. Ma ti rimpiango già, rossa puttana che, guardando a destra strizzavi l’occhio al clero”. La canzone parlava di una Bologna insolitamente cupa e misteriosa che faceva da sfondo ai crimini su cui Sarti era chiamato a indagare, la stessa Bologna che pochi giorni fa ha imperdonabilmente disertato i funerali del suo alfiere Gianni Cavina: “splendida ma oramai, bastarda pure tu”.
Altro successo televisivo di Cavina che merita di essere ricordato è stato quello di Una grande famiglia, serie televisiva in tre stagioni andata in onda dal 2012 al 2015 in prima serata su Rai Uno, la cui storia ruotava attorno alle vicende e ai segreti di una famiglia di industriali del mobile in Brianza.
Una carriera intensa e molteplice, la sua. Il punto fermo, però, è stato fino all’ultimo il felice sodalizio con l’amico Pupi Avati. Nel film Dante, ancora inedito, il regista ha voluto che il suo personaggio apparisse allettato, per far in modo che Cavina non si affaticasse troppo. “Sul set ripeteva che stava benissimo, che la fisioterapia stava facendo effetto”, ha ricordato Avati con commozione, “ma lo diceva più per noi che per sé. Era venuto a Roma con grande fatica pur di esserci. Si vedeva che stava male […] Era un attore capace di mille sfumature. Un comico vero che come tutti i veri comici aveva un lato intellettuale inquietante, per questo spesso gli costruivo addosso ruoli ambigui”.
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