L’orrore di un’interiorità che divampa sotto le sforbiciate del mostro Freddy Krueger ha le premesse nel primo cinema di Wes Craven, cineasta il cui esordio avviene con un film uscito cinquant’anni fa, L’ultima casa a sinistra, e grazie al produttore Sean S. Cunningham il quale appoggia il giovane talento al momento dell’esordio dietro la macchina da presa. I destini di Wes Craven e di Sean S. Cunningham – futuro regista di Venerdi 13 – risalgono infatti ai loro primi movimenti nel cinema indie, quando sarà Craven a rispondere all’annuncio per poter lavorare alla sinconizzazione di Together, un film di sesso e varie nudità che Cunningham produce nel tentativo di ripetere l’esperienza del suo piccolo film d’esordio, The Art of Marriage.
Cunningham riconosce al giovane Wes un indiscutibile eclettismo, e lo coinvolge dapprima come assistente montatore, infine come co-produttore del film. Il tuffo nel cinema è presto completo, con Together che ottiene un successo inatteso e sorprendente, così che Cunnigham si ritrova ingaggiato dalla distribuzione per produrre un film horror. A quel punto Wes Craven è l’amico fidato a cui Cunningham chiede aiuto per scrivere e montare il film, ma sarà poi lo stesso Craven ad occuparsi anche della regia. Nonostante le ristrettezze e la scelta di ambientare la vicenda nella casa di famiglia di Cunningham, con il tempo di quattro settimane rispettato per non sforare il budget, il montaggio obbligò ad aumentare l’impegno e le spese, per un film la cui realizzazione si protrasse oltre il previsto. Quello che sarebbe diventato uno degli esordi cinematografici più scioccanti, prese avvio in una volontà di revisionismo orrorifico in cui la realtà trova espressione in pellicole dove esplodono le paure (e le brutture) degli americani: L’ultima casa a sinistra, titolo scelto dopo una specie di test ingaggiato raccogliendo le preferenze di tre differenti città in cui il film fu proiettato in anteprima, si colloca, dopo la grande attenzione destata dal film La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero, come un titolo chiave e anticipatore, inaspettato e influente nella sua denuncia di una società becera perché violenta e belligerante. Un film pronto.a dare l’avvio a una stagione popolata da titoli quali Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper, forse il lavoro più vicino all’esordio di Craven, oppure Il demone sotto la pelle (1975) di David Cronenberg – che rafforza la matrice di un orrore naturale, che proviene dall’interno della carne -, per arrivare alla lotta sociale espressione di anarchismo ideologico in titoli come Distretto 13: Le brigate della morte (1976) di John Carpenter o alla brutale vocazione anti-istituzione (e anti-familista) di un altro film di Craven, lo sconcertante Le colline hanno gli occhi (1977), destinato a diventare un cult del cinema non conciliatorio e a porsi come il punto di non ritorno di una singolare vocazione artistica.
Quella di Wes Craven è infatti un’immersione nella diffidenza che si respira in una società segnata da guerre e rivolte che non hanno saputo coniugarsi in ribellione davvero liberante per molti. E in questa luce oscura, fa la sua apparizione un film seminale per l’horror americano qual è L’ultima casa a sinistra, voce di un fermento culturale che cerca di scardinare steccati e di urlare la sua protesta portando sullo schermo, attraverso note e temperature raggelanti, la disillusione di un vivere sociale che lo sguardo radicale di Craven sanziona senza mezzi termini. È la visione della società ad essere messa alla gogna, sia quella della famiglia borghese da cui prendono una giornata di “vacanza” le ragazze protagoniste di una tragica disavventura, sia quella del gruppo di delinquenti capitanati dal sordido Krug. Le adolescenti Mary Collingwood (Sandra Cassel) e la sua amica Phyllis Stone (Lucy Grantham), sono coinvolte, il giorno del diciassettesimo compleanno di Mary, dal desiderio della giovane di festeggiare in modo finalmente libero, e la sua proposta di comprare dell’erba da un eroinomane fa il paio con l’abitudine di una squallida banda di criminali di portare dentro casa delle fanciulle e approfittare di loro. Mary e Phyllis alla loro prima uscita scoprono che l’invito nella casa dei sedicenti tranquilli spacciatori è una trappola: saranno portate nel bosco e torturate fino alla morte.
Se l’introduzione alle immagini premette che il film sia “basato su una storia vera”, in realtà Craven si ispira a Ingmar Bergman e al suo La fontana della vergine (Jungfrukällan, 1960), e in particolar modo alla leggenda raccontata in una ballata svedese di origine medievale del cui folklore fece tesoro il regista nordico per il suo film. Craven conobbe l’opera di Bergman prima di debuttare nel cinema, e il regista svedese lo affascinò enormemente al punto da motivarlo influenzando la sua visione che tratteggia personaggi dell’oscurità, per i quali l’apparente normalità non conta nulla. Ne La fontana della vergine, una giovane adolescente tenuta lontana dalla famiglia viene violentata e uccisa, allorquando nel film di Craven la tragica fine delle due protagoniste, violentate e uccise dopo essere state adescate da un gruppo di criminali capitanati da Krug (David Hess), e composto da Sadie (Jaramie Rain), Junior (Marc Sheffer) e Fred (Fred Lincoln), è la realizzazione raggelante e senza sconti di una versione apparentemente controculturale della famiglia originaria dell’adolescente Mary.
E la vecchia tradizionale famiglia si coprirà l’alveo pronto a scatenare la sua vendetta contro i malvagi rapitori. La spietatezza dei Collingwood reca note di un’attitudine alla violenza che ne sottolinea la componente primitiva pronta a scatenarsi in quelle che chiamiamo le società civili, e in cui sarà giocoforza terribile perdere la strada come succederà ai protagonisti del successivo film di Craven, Le colline hanno gli occhi. Inquietante parabola, auest’ulrimo in cui la sfiducia verso le istituzioni è ribadita dalla dabbenaggine delle forze dell’ordine sempre impotenti e incapaci di prevenire le uccisioni. L’ultima casa a sinistra vede i tranquilli borghesi pronti a efferatezze che ne esprimono la crudeltà già ben evidente nel controllo esercitato verso la giovane figlia le cui spinte ormonali e il cui ribellismo si scontrano con la forza brutale di un mondo abietto tanto dentro quanto oltre le mura domestiche. Per i tempi, un film anarchico e dirompente, capace di coniugare il discorso sulla repressione con tracce di umorismo grottesco che ritroveremo sovente nel futuro cinematografico del nuovo regista.
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