Disponibile su RaiPlay Una storia moderna – L’ape regina, un film del 1963 diretto da Marco Ferreri, la prima opera italiana del regista che, sino ad allora, aveva sempre girato in Spagna. Il film è tratto da una piéce di Goffredo Parise, l’atto unico La moglie a cavallo. Particolarmente avversato dalla censura per i contenuti fortemente anticonvenzionali e anticattolici, L’ape regina venne condizionato da pesanti tagli alle scene, modifiche ai dialoghi e con l’aggiunta di Una storia moderna: al titolo originario. Anche la colonna sonora non sfuggì all’attenzione dei censori. La scena del carretto che trasporta i resti di una salma era in origine commentata da una musica troppo simile al rumore di ossa che ballano, troppo tintinnante e, pertanto, ne fu decisa la cancellazione. Il film venne presentato in concorso al 16º Festival di Cannes, dove Marina Vlady vinse il premio per la miglior interpretazione femminile. Ugo Tognazzi, invece, vinse un Nastro d’Argento per il Miglior attore protagonista. Con Marina Vlady, Ugo Tognazzi, Linda Sini, Riccardo Fellini, Achille Majeroni, Polidor.
Trama
Alfonso, un agiato commerciante d’automobili, arrivato sulla quarantina, decide di prendere moglie, anche per consiglio di un frate suo amico. Gli viene presentata Regina, una ragazza religiosa, illibata e bella che sembra fare al caso suo. I due si sposano presto. Ma Regina, che prima del matrimonio s’era mostrata riservata e severa, appena sposata, rivela inclinazioni che rendono piuttosto arduo per Alfonso l’adempimento completo dei suoi doveri coniugali. Regina vuole a tutti i costi avere un figlio, e infatti dopo qualche tempo, il suo desiderio è soddisfatto. La futura madre si fa sempre più bella e raggiante in attesa del lieto evento. Ma Alfonso al contrario deperisce sempre più fino a cadere in una prostrazione da cui non potrà più risollevarsi. La nascita del figlio coinciderà con la sua morte.
“L’ape regina è una donna che, con incrollabile dolcezza, uccide il marito, vittima consenziente, inducendolo a fare l’amore; per lei, godersi il sesso con il marito non è lo scopo del matrimonio, lo è la procreazione. Così, quando finalmente è incinta, non ha più bisogno del marito, che muore di tisi. Ho scritto la storia con Parise, ma poi ho perso le sue tracce, e il film è stato trattenuto per otto mesi dal consiglio di censura a causa dell’inquadratura di una lunga camicia da notte con un buco, attorno alla quale era ricamata la massima: “Non lo faccio per il mio piacere ma per piacere a Dio”. La famiglia era un caposaldo della società italiana, ea quel tempo, parlo del 1962-63, di divorzio non si parlava nemmeno lontanamente, c’era solo la Rota Romana. Per Marina Vlady ne L’ape regina, la famiglia è solo un mezzo per realizzare il suo concetto di donna, maternità, che è ciò per cui è stata cresciuta all’interno di una funzione molto chiara del potere familiare. L’uomo, però, non è una vittima; è corresponsabile dell’intera relazione sin dall’inizio”.
(Marco Ferreri, L’avventurosa storia del cinema italiano. 1960-1969, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981)
“L’ape regina segna il primo incontro di Tognazzi con Marco Ferreri e lo sceneggiatore Rafael Azcona: incontro fortunato (per Tognazzi forse ancora più determinante di quelli con Salce e Risi), l’inizio di una collaborazione che diventerà, nel corso degli anni, esemplare. Assieme a Salce, Ferreri è il regista che rende più vigoroso e attendibile il nuovo, complesso personaggio incarnato dall’attore, anche questa volta protagonista maschile assoluto di una storia inconsueta. Al suo apparire, prima al festival di Cannes e poi sugli schermi italiani, il film fa scalpore, suscita polemiche e scandalo, supera a fatica le strettoie della censura (che, fra l’altro, fa misteriosamente premettere al titolo “Una storia moderna: “). Il film (che apre a Tognazzi anche il mercato statunitense) è uno dei maggiori successi commerciali delia stagione 1962/63 e procura all’attore il Nastro d’argento (assegnato dal Sindacato dei giornalisti cinematografici) per il miglior attore protagonista. Ricordando anni dopo L’Ape regina, Tognazzi ne ha così commentato l’importanza: «Il film mi ha consentito di entrare in un mondo cinematografico che amo. Il cinema che avevo fatto fino ad allora si basava su personaggi estremamente popolari, dei film divertenti, facili, che piacevano al pubblico ma che sono, a conti fatti, delle operazioni prefabbricate. In quei film non occorre quasi mai un grande coraggio. […] Amo il cinema non in se stesso ma in quanta rappresenta la possibilità di raccontare delle storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli […]. Sono molto riconoscente a Ferreri di avermi offerto questa possibilità […] di conoscere, per mezzo del cinema, la vita»”.
(Ugo Tognazzi in Ecran 73, Parigi, n. 19, novembre 1973, p. 5)
“Ludi di talamo infiorano anche troppo il nostro cinema comico; e le prime scene de L’ape regina, saltellanti e sguaiate, mettono in sospetto. Accade perché il film sfiora ancora il suo tema, lo tratta con estri bozzettistici. Ma quando coraggiosamente vi da dentro, mostrandoci l’ape e il fuco appaiati in quell’ambiente palazzeschiano, carico di sensualità e di bigottismo, allora acquista una forza straordinaria, si fa serio, e scende alla conclusione con un rigore e una precipitazione da ricordare certe novelle di Maupassant. […] Ottima la scelta dei protagonisti, un calibratissimo Tognazzi (che ormai lavora di fino) e una magnifica e feroce Marina Vlady”.
(Leo Pestelli, La Stampa, Torino, 25 aprile 1963)
“Il film è gradevole, per la comicità delle situazioni, il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana, tutta fatta di donne […]. Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista, esercitata su un innesto fra Zavattini e Berlanga, […] ha di gran lunga la meglio, per fortuna, sul fustigatore, lievemente snobistico, dei costumi contemporanei. […] Marina Vlady […] è molto bella e recita con duttilità; Ugo Tognazzi, in sordina, fa benissimo la parte un pò grigia dell’uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa, e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante”.
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, Milano, 25 aprile 1963)
Lascia un commento