L’opera prima di Zoë Kravitz è un thriller ricco di suggestioni visive e indizi concettuali che si fa guardare con piacere, divertimento e qualche brivido.
Ma proprio come la nostra malcapitata protagonista, che fa zapping tra una notizia e un social, sulla tazza del wc, con il telefono in mano, collezionando sensazioni e mezze informazioni, non approfondisce nessun tema e non segue una precisa strada. Si riflette in modo vago sull’abuso di potere, come annunciato ad inizio film, su quello della memoria, dei ricordi – già affrontato dal cinema con il romanticismo di Michel Gondry, con la delicatezza di 50 volte il primo bacio, o la durezza di Memento di Nolan – e su quello della violenza di genere, ovviamente. Blink Twice (doppio battito di ciglia) tocca l’horror senza entraci dentro, la fantascienza senza imboccarla, in modo da afferrare il più pubblico possibile, senza dispiacere nessuno. Visivamente accattivante, con dei bei protagonisti nella parte, Blink Twice è il film perfetto per rispecchiare i nostri tempi. Suggerire, senza dire. Sfiorare, senza toccare.
La cameriera Frida (Naomi Ackie), appassionata di nail art, che sogna di conoscere il magnate Slater King (Channing Tatum), vede realizzate le sue fantasie da classe sociale medio bassa quando il bel riccone, durante un convegno, la invita, insieme alla sua migliore amica Jess e a un gruppo di conoscenti di lui, a passare del tempo insieme in un resort meraviglioso su un’isola meravigliosa. Sembra che la regista voglia mostrarci dove conduce il bisogno compulsivo di essere visti, di sentirsi qualcuno, di far parte della rosa dei privilegiati, dei ricchi-belli-famosi, quando questo bisogno diventa così primario da ottenebrare ogni altra facoltà raziocinante.
Così Frida si ritrova spensieratamente, insieme a Jess, isolata dal mondo insieme a degli sconosciuti e inizialmente si diverte moltissimo, proprio come in un reality (una delle ragazze invitate proviene da lì) o in una storia di Instagram, destinata a ripetersi all’infinito. Le giornate di Frida infatti tutti sono fotogrammi instagrammabili, nei quali ci si divide tra la piscina, il relax in giardino e le cene gourmet, ridendo e brindando coi nuovi amici. Risate, scherzi, giochi di società e baci al tramonto, prima di scoprire che qualcosa non quadra…
La via del risveglio parte dal morso di un serpente, simbolo arcaico di morte e di cura e da una vecchia donna, una povera inserviente, che parla per enigmi.
Quella di Blink Twice è l’isola dei Feaci cantata da Omero nell’Odissea, nella quale si è felici e beati fino a quando si accetta di non sapere e di non ricordare. Ma chi non ricorda è destinato a soccombere e a sparire – anche dalla memoria – mentre chi ricorda, a prezzo di dolore e sangue – è ancora un Uomo capace di disegnare il proprio destino, senza subirlo.
Senza rivelare nessuna delle sorprese del film, l’epilogo vede la protagonista ben lungi dal criticare il proprio stile di vita, ma anzi accanirsi nel perseguirlo usando gli stessi mezzi dei suoi carnefici. Frida non vuole uscire dal mondo di Instagram, ma insiste nella sua arrampicata sociale. Un escamotage simpatico, che ci fa contenti, ma che conferma la mancanza di discorso intellettuale e coerente a favore di una prestazione voyeuristica e di puro intrattenimento.
Blink Twice è un ben riuscito prodotto di breve consumo Amazon MGM Studios, a cui nulla di grave si può imputare se non il fatto di far rimpiangere i versi dell’opera “Eloisa to Abelard” del poeta inglese Alexander Pope:
«How happy is the blameless vestal’s lot! The world forgetting, by the world forgot. Eternal sunshine of the spotless mind! Each pray’r accepted, and each wish resign’d»
«Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio»
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