Il personaggio che Pietro Germi interpreta per il suo film Il ferroviere del 1956 conquista il pubblico, colpito per la sincerità di un film che diventa specchio di una Roma in cui le miserie del vivere, ribadite dalle condizioni sociali fatte di scioperi, paghe inadeguate, palazzi opprimenti e dirigenti sindacali sordi, richiedono il lenimento che può arrivare solo da un senso popolare di appartenenza che aiuti a recuperare la forza per riscattarsi.
Come osserva Mario Sesti, Il ferroviere può essere confrontato all’altro grande monumento cinematografico di melodramma e realismo, Rocco e i suoi fratelli, “due film che affrontano un vero corpo a corpo con quello che si può considerare il mito più profondo dell’inconscio, della Storia e della struttura sociale di questo paese: l’unità della famiglia”[1].
Sull’onda emotiva delle note di Carlo Rustichelli, il film alterna il racconto drammatizzante del narratore a quella di Sandrino, portatore di dolcezza, e Germi conduce il suo appassionante racconto sulle asprezze della vita sorprendendo anche il produttore Carlo Ponti, inizialmente diffidente nei riguardi del progetto, che immaginerebbe Spencer Tracy e Broderick Crawford nel ruolo del protagonista. L’interpretazione di Germi resta memorabile, una vera personificazione del ferroviere che vede messi sotto scacco i suoi valori, nella famiglia e nel lavoro, e che per la critica del tempo è anche la prova di un cineasta scomodo, che con Il ferroviere disorienta chi deve scrivere del film.
Il sanguigno regista antifascista si ritrova spesso attaccato dalla critica di sinistra, che lo ritiene un autore troppo popolare quando non reazionario in ragione della sua indipendenza ideologica e gli scaglia contro feroci critiche, in contrasto con l’entusiasmo che i primi film avevano suscitato. Proprio Il ferroviere apre un “caso ideologico”, per un regista mai veramente amato dalla critica, la stessa che dai cineasti italiani pretende un impegno “militante” e a cui Germi “risponde” con un cinema non incasellato nell’ortodossia richiesta dall’intellighenzia. Germi, lo sdegnato, già frainteso durante la stagione neorealista più legata all’ideologia, paradossalmente, in tempi di riflusso, finirà per essere ritenuto fin troppo impegnato e attento alle morali. Da parte sua il regista non è avvezzo ad atteggiamenti concilianti, non si mostra come l’intellettuale pronto a piacere agli intellettuali, non è snob e si dichiara anticomunista quando il sentimento diffuso porterebbe più facilmente a essere o fare i comunisti.
Ciò getta fuoco sul fuoco ma simili atteggiamenti vanno contestualizzati alla luce della riflessione critica che ci permette di analizzare i film come espressioni culturali del loro tempo nonché attraversati dalla poetica più profonda di un autore. La critica manifesta più volte un senso di “resa dei conti” con Germi, la cui libertà intellettuale è così espressa in una dichiarazione che ne riassume il tono polemico ma soprattutto lo sguardo alto: “Per ragioni di casta, le forme tradizionali e burocratiche della Chiesa rimangono incrostate da certe manifestazioni che sono in conflitto con lo sviluppo del pensiero e della scienza e perciò non sono più adatte all’uomo moderno. Le religioni dovrebbero liberarsi da questa esteriorità parassitaria che è assolutamente superflua. Dovrebbero tornare, invece, alla loro essenza, e in questa essenza trovare qualcosa di universale che possa essere valido per tutti” (1966)[2].
Nel caso del cineasta genovese la prospettiva storica permette di liberarsi da un atteggiamento condizionato dai dogmi della critica di partito del dopoguerra e dalle tendenze del riflusso che seguiranno per dare finalmente spazio al rispetto che merita un’opera cinematografica così ricca e inventiva, nei cui confronti assumono un significato riduttivo le critiche che tante volte sono state avanzate. Nella fase crepuscolare del Neorealismo Germi, dopo aver rinnovato il filone e aver messo alla prova le sue abilità di narratore, con Il ferroviere seppe raccontare una storia familiare e reinterpretare gli stilemi neorealisti affrontandone la mutazione con un piglio che lo avrebbe condotto ad affrontare aspre critiche, non è improprio sostenere che i contenuti dei dibattiti che il film sollevò erano in linea con le esigenze politiche di un messaggio chiaro. Espressioni di uno schieramento che vide Germi impegnato a prendere invece una via sempre più libera e indipendente, visto che con il proseguimento della sua filmografia Germi porterà a un livello di satira impareggiabile la vis polemica del suo sguardo. Quell’arguzia che a detta di Martin Scorsese avrebbe influenzato la visione dello stesso regista italo-americano e che Germi rappresenta al meglio nella trilogia composta da Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonata, Signore & signori.
Il ferroviere: di Pietro Germi
Domenica 27 ottobre 2024, ore 23,12 su La7
Durata 110 minuti
Anno 1956
Con Pietro Germi, Luisa Della Noce, Sylva Koscina, Saro Urzì, Carlo Giuffrè, Renato Speziali.
[1] Mario Sesti, Tutto il cinema di Pietro Germi, Dalai editore, 1997.
[2] Enrico Giacovelli. Pietro Germi. Il Castoro Cinema, Milano, 1997.
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