Abituati a privilegiare l’impatto visivo dei prodotti per il grande e piccolo schermo, soprattutto in un’epoca come quella odierna di vero e proprio “abuso delle immagini in movimento”, dimentichiamo spesso l’importanza che hanno anche le parole nella costruzione di un buon racconto filmico. Il potere della parola, per l’appunto, che è anche il titolo di un interessantissimo volume che il saggista Umberto Mentana ha dedicato allo scrittore, sceneggiatore e regista statunitense Aaron Sorkin, libro edito da Falsopiano sulla cui copertina campeggiano in diversi font i titoli più celebri che compongono la filmografia di Sorkin, proprio a voler rimarcare il ruolo fondamentale della parola scritta nella realizzazione di un film o di una serie televisiva: A Few Good Men (1992), Malice (1993), The American President (1995), Enemy of the State (1998), Charlie Wilson’s War (2007), Steve Jobs (2015), Molly’s Game (2017), The Trial of the Chicago 7 (2020) e le serie TV Sports Night (1998 – 2000) e The West Wing (1999 – 2006).
Come spiega lo screenwriter americano Neil Landau nella prefazione, Sorkin è stato accusato dai suoi detrattori di essere un attivista e ideologo troppo liberal e politicamente corretto. In realtà, quello che il pluripremiato sceneggiatore ha sempre voluto fare nel corso della sua carriera è stato indicare come potrebbe essere la nostra società se, ad ogni livello, si facessero le giuste scelte, pur nella consapevolezza che ai dilemmi morali non esistono risposte facili. Scrive Umberto Mentana: “dalle sue storie intrise di grandi eroi quotidiani che semplicemente si applicano nella propria attività lavorativa, che sia essere un anchorman di una rete televisiva d’informazione oppure addirittura il Presidente degli Stati Uniti bisogna, secondo Sorkin, sempre mostrarsi e applicarsi nella migliore maniera possibile, mettendo spesso da parte gli obiettivi personali; dobbiamo riflettere, a questo punto, dopo l’esempio virtuoso che i suoi personaggi ci hanno mostrato, con quanto schifo abbiamo a che fare invece con la nostra, purtroppo non funzionale, realtà”. Le colpe non sono da attribuire solo alla politica o ai magnati dell’industria e della finanza: al contrario, in questa visione siamo tutti rei di non dare a sufficienza il buon esempio frustrando così il sogno di un mondo migliore, “non perfetto ma almeno rigoroso e virtuoso”.
Nato a New York nel 1961 da genitori ebrei, Sorkin ha iniziato fin da giovane ad appassionarsi alla recitazione e al teatro. Laureatosi in Musical Theatre alla Syracuse University nel 1983, dopo svariati lavori cominciò a scrivere commedie per Broadway (il testo d’esordio si intitolava Removing All Doubt, 1984). Il suo primo vero successo teatrale risale alla fine degli anni Ottanta con A Few Good Men, che nel giro di un paio di anni – messo sotto contratto dalla Castle Rock Entertainment – lo portò ad approdare al grande schermo con l’adattamento cinematografico diretto da Rob Reiner Codice d’onore (A Few Good Men, 1992), interpretato da Tom Cruise, Jack Nicholson, Kevin Bacon e Demi Moore. Da quel momento ebbe inizio una brillante carriera tra cinema e televisione, che lo ha visto cimentarsi sporadicamente anche dietro la macchina da presa (Molly’s Game, The Trial of the Chicago 7, Being the Ricardos). Tra gli anni Novanta e i Duemila, la mole di lavoro e il conseguente stress lo portarono ad abusare di alcol e stupefacenti costringendolo, dopo un increscioso episodio giudiziario, a intraprendere un serio percorso di riabilitazione. L’apice del successo lo raggiunse nel 2010 con lo script del film The Social Network, diretto da David Fincher: storia della nascita di Facebook che gli valse un Oscar come miglior sceneggiatura non originale, un Golden Globe e un BAFTA.
Citando tra gli altri Sir Arthur Conan Doyle (padre del celeberrimo Sherlock Holmes), il regista Frank Capra e lo sceneggiatore William Goldman (autore di Butch Cassidy, 1969, e All the President’s Men, 1976) come alcuni tra i possibili modelli di ispirazione per Sorkin, Mentana ne traccia un profilo esaustivo e critico, non – come avverte nell’introduzione – “analizzando passo dopo passo, opera dopo opera, la carriera di Sorkin”, bensì proponendo una ricerca fatta “a balzi e temi, atmosfere, motivi che fanno della sua carriera una delle più gradite esperienze della modernità ma che guarda, come un inguaribile romantico, ai grandi racconti del passato perché, occorre ribadirlo, la riproposta delle grandi storie oggi non è esente da un requisito tipicamente postmoderno, qual è il carattere ibrido, il gusto per la citazione, la contaminatio”.
Il libro di Umberto Mentana Aaron Sorkin. Il potere della parola è un’ opera preziosa, non solo perché è l’unica pubblicazione italiana dedicata al lavoro di storytelling di un artista geniale e poliedrico, ma anche perché va a colmare le lacune di un’editoria che sembra riconoscere poco spazio agli sceneggiatori, privilegiando invece le figure di registi e attori. Il volume di Mentana, dunque, contribuisce a rivendicare l’impagabile ruolo di chi concepisce su carta le storie che verranno poi messe in scena per il cinema o la TV: il potere della parola.
U. Mentana, Aaron Sorkin. Il potere della parola, Edizioni Falsopiano, Alessandria 2024
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