Susanna! (Bringing Up Baby!, 1938) ha la fama di scrigno della screwball comedy (commedia svitata) ed è il titolo spumeggiante che mette perfettamente in campo la guerra tra i sessi. L’espressione screwball ha una doppia origine alla base della sua sfrenatezza: indica la palla ad effetto del baseball, che ottiene imprevedibili traiettorie una volta lanciata, ma richiama anche la parola inglese “screwy”, alzare il gomito. Al suo apice negli anni Trenta e Quaranta, la screwball comedy spariglia le carte del rapporto uomo/donna innestando motivi slapstick propri della tradizione del muto nel modello della commedia sofisticata resa grande da Ernst Lubitsch. Con Susanna di Howard Hakws è il brio veloce a dettare le cadenze di una comicità scoppiettante grazie ai dialoghi che realizzano slalom irriverenti tra le strettoie del Codice Hays lasciandoci (oggi come ieri) spettatori di un film straordinariamente in grado di ironizzare su disparità sociale e identità di genere. La sceneggiatura vede coinvolto tra gli altri Dudley Nichols e subisce continue e successive modifiche, come accadeva sovente all’epoca, mentre la gag fisica prevale sugli stessi gustosi dialoghi in una comicità che si manifesta indiavolata nella vicenda del timido e impacciato paleontologo David Huxley (Cary Grant), alla vigilia del matrimonio ma impegnato soprattutto nella definitiva ricostruzione dello scheletro di un brontosauro a cui ha dedicato quattro anni di lavoro. Sulla strada dell’uomo di scienze razionale David capiterà casualmente l’ereditiera Susan Vance (Katherine Hepburn), maldestra e capricciosa, donna travolgente che provocherà una serie di grattacapi allo studioso proiettandolo in una spirale di avventure ed equivoci fino al reciproco innamoramento finale. Un happy end che coinciderà paradossalmente con il crollo dello scheletro ovvero della pachidermica impalcatura museale su cui David ha imbastito la sua vita.

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Il meccanismo di causa-effetto di Susanna porta all’estremo le conseguenze di ogni azione e si sorregge sull’impulsività dell’esuberante Susan, a cui Katherine Hepburn restituisce la sua spumeggiante interpretazione a fianco di un affiatatissimo Cary Grant. Il film di Hawks primeggia tra le più memorabili commedie della storia del cinema americano, vetta della sintonia tra i due attori che danno vita a una coppia di grande modernità capace di farsi motore di un confronto con i pregiudizi e portando una ventata di freschezza sin dal primo film che hanno girato insieme, l’affilata commedia Il diavolo è femmina (Sylvia Scarlett, 1935) di George Cukor, dove una donna, che fa parte di una banda di ladri, si finge uomo fuggendo in Inghilterra insieme al padre capobanda inseguito dalla polizia, e si innamora del derubato Jimmy (Cary Grant). Si trattò anche in quel caso di un film davvero in anticipo sui tempi, specie per i sommovimenti dell’identità di genere, ma il film non ebbe il successo sperato. Un’accoglienza decisamente più scintillante avrebbero invece accolto all’epoca le altre pellicole di Cukor con la coppia Hepburn-Grant, Incantesimo (Holiday, 1938), conferma di un anticonformismo che con i suoi dialoghi brillanti indirizza uno sguardo simpaticamente critico al mondo materialistico e Scandalo a Filadelfia (The Philadelphia Story, 1940), dove l’irruzione di un reporter scandalistico (James Stewart) nell’abitazione di una nota benestante della ricca Philadelphia porta a far comprendere alla protagonista Tracy (Katherine Hepburn) che ciò che desidera non è convolare a nozze con il nuovo pretendente ma ritrovare l’amore con il primo marito (Cary Grant).
La classe agiata con il suo perbenismo e l’istituzione familiare finiscono al centro di battute indimenticabili per la loro modernità e Cukor si pone esemplarmente con Scandalo a Filadelfia all’interno di quella che è stata definita da Stanley Cavell la “commedia hooywoodiana del rimatrimonio”, osservatorio sulla ricerca della felicità che vede i protagonisti impegnati in duelli amorosi sostenuti a colpi di dialoghi spumeggianti e gag spassose dove l’obiettivo è il ripristino di un equilibrio tra i duellanti, gli amanti alla ricerca di un reciproco riconoscimento che li vede disponibili a riconciliarsi («Solo coloro che sono già sposati si possono autenticamente sposare. È come se sapessimo che si è sposati quando si giunge a capire che non si riesce a divorziare, cioè quando si trova che le proprie vite semplicemente non si districano. Se l’amore è fortunato, questa conoscenza verrà salutata dalle risate», Cavell 1999, p. 105).
Tra questi titoli, il momento della collaborazione tra Hepburn e Grant che più lascia il segno nella storia del cinema, nonostante l’iniziale fiasco al box office, è proprio Susanna, un film che costringe il regista Howard Hawks ad abbandonare il successivo lungometraggio in programma con la RKO ma che con il tempo lascia la sua importante influenza e viene riscoperto come la gemma della commedia sofisticata. Un titolo di una freschezza non toccata dal tempo la cui originalità è innanzitutto nella scelta di fondarsi sulle dicotomie tra animali e umani, tra preda e predatore. Il personaggio interpretato da Cary Grant si chiama David Huxley, incarna una razionalità scientifica ed è un imbranato con gli occhiali alla Harold Lloyd, mentre il personaggio femminile, inizialmente pensato per Carol Lombard già protagonista della commedia hawksiana Ventesimo secolo (Twentieth Century, 1934) viene poi affidato all’irresistibile e pragmatica Katherine Hepburn. L’attrice contribuisce alla secchezza del continuo ping pong con Grant, dove in ambienti unici (come durante la sequenza della cena o quella spassosissima della prigione) è in atto un campo e controcampo in cui si inscrive la caoticità suscettibile di dettare il ritmo serrato delle connessioni che la regia di Hawks accoglie con il suo stile dell’evidenza e della velocità in Susanna senza tuttavia dover fare ricorso al parossismo dell’accumulo narrativo o di un montaggio concitato. Forse soltanto quando vediamo per la prima volta David, il cui cognome è lo stesso del biologo darwiniano Thomas Henry Huxley, abbiamo un’immagine di pace e raccoglimento. “Il dottore sta pensando”, così dice Alice, la sua promessa futura moglie. David pensa ai due traguardi che si stanno concretizzando: l’arrivo della clavicola intercostale che gli permetterà di concludere la costruzione del gigantesco scheletro di brontosauro e il matrimonio con Alice.
L’arrivo della clavicola combacia come in un puzzle nel grigiore dell’esistenza di Davide. Una vita dove tutto è metodicamente preordinato e dove Alice, l’assistente promessa sposa, si vergogna delle effusioni del fidanzato davanti all’altro assistente e rinuncia al viaggio di nozze, che invece David sogna di fare, per non rinunciare al compimento del lavoro che il futuro marito sta per portare a termine e che per lui è così importante. E al confronto con questa donna scialba immolata nel compito del marito (e invischiata in un certo evidente retaggio patriarcale) proprio l’arrivo di Susan, donna anticonformista, ricca e fuori di testa, scatena la presenza di ben altra animalità. Susan scardina la gabbia delle consuetudini e porta un temperamento incurante delle convenzioni sociali contribuendo a far vacillare quell’ordine che crolla al cospetto di un’imprevedibilità che prende corpo attraverso animali veri e vivi, come il leopardo che nel cinema del periodo si incarica di rappresentare la libertà anche sessuale (Il bacio della pantera sarà un altro titolo importante della RKO) o il cagnolino George che in Susanna è interpretato dallo stesso celebre fox terriere Asta de L’uomo ombra (The Thin Man, 1934), vera star di Hollywood a quattro zampe. Howard Hawks inanella una serie di situazioni comiche irresistibili con concatenazioni a rotta di collo, come quella dei vestiti strappati alla cena di gala (che lo stesso regista riprenderà per Lo sport preferito dall’uomo – Man’s Favorite Sport? – nel 1965) e che vede i due uscire dal salone appiccicati con irriverente allusività erotica. Una carica di erotismo suggerito passa attraverso gli atteggiamenti di Susan verso David, come nella sequenza che vede il nostro sotto la doccia e lei sottrargli i vestiti per poi andare a sua volta a fare una doccia.
Il povero David si ritrova anche con il leopardo Baby da accudire mentre Susan, indifferente, continua a parlare al telefono. La comicità raffinatissima e stralunata poggia sulla premessa che lo psichiatra al ristorante sciorina come un assioma quando sostiene che l’impulso amoroso di un uomo si manifesti come un conflitto. E su quelle schermaglie tra i sessi che la screwball comedy porta al parossismo si eleva la modernità e lo spirito irriverente di Susanna, un film i cui i cambi di abiti rientrano nel turbinio dei mutamenti di identità dei personaggi, preludio della trasformazione della personalità di David nel corso del film, da borghese brontosauro a individuo potenzialmente felice. Le allusioni sessuali affiancano una visione in cui gli stati di animalità infantili raccontano con divertimento le involuzioni di una società in cui Hawks fa indossare a Cary Grant una vestaglia femminile e, una volta interrogato riguardo al négligé di Susan che indossa, risponde “Because I just went gay!” – che nella versione italiana diventa “Perché sono appena diventato pazzo!”. David peraltro viene arrestato perché scambiato per un guardone e tutti i sottintesi sessuali del film, mentre aggirano il Codice di Censura, si fanno beffe del perbenismo, lasciando Hepburn e Grant recitare con tutto il corpo con un intento caricaturale che ricerca le mutevoli sfaccettature dell’umanità. Una prospettiva in grado di restituirci, con questo film del 1938, l’universalità di una visione in cui ogni personaggio partecipa di una follia collettiva scandita dalla radicalizzazione della concatenazione di causa-effetto orchestrata da Hawks con una regia che attiva un moto perpetuo, come un divertente gioco ad ostacoli che accompagna l’intento della protagonista di conquistare David e farlo partecipe di una vita più viva e libera assecondando un sentimento genuino e fanciullesco. La critica istintiva alla società borghese e all’umanità grottesca e vuota ha trovato in Susan una nuova paladina che ha saputo far crollare vecchie certezze e traballanti sovrastrutture grazie a una regia e a un affiatamento attoriale che vede i due attori primeggiare su una massa di completi svitati e diventare un punto di riferimento per la commedia americana che d’ora innanzi non potrà fare a meno di riferirsi alla coppia del giovanotto occhialuto, timido e rigido, messo sotto pressione dall’impulsiva ed esuberante dama. Un modello di spassosità e irriverenza.
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