Gli scatti più recenti hanno reso virale l’immagine di un Clint Eastwood, incurvito dagli anni, aggirarsi sul set e dietro la macchina da presa, visibilmente invecchiato ma con ancora “quel sorriso che il tempo non ha scalfito ma ha anzi reso un tratto indelebile della sua umanità”. Alla veneranda età di 95 anni appena compiuti, l’attore e regista californiano sembra proprio non voler andare in pensione e già si vocifera di un nuovo progetto che si spera possa bissare gli esiti felicissimi del suo film più recente, Giurato numero 2 (Juror No 2, 2024). Ma anche se Eastwood continua ad essere l’instancabile decano di Hollywood, sempre capace di regalarci emozioni, è legittimo pensare a un bilancio definitivo della sua lunga carriera. Ci ha pensato Roberto Lasagna con il libro Clint Eastwood. Una storia del cinema, che come tutti i volumi editi da Weird Book è impreziosito anche da una accattivante veste grafica firmata da Giorgio Finamore. “Una storia del cinema”: particolarmente azzeccata la scelta del titolo, perché ripercorrere la filmografia di un “mito trasversale e transgenerazionale qual è Clint Eastwood”, antieroe duro e solitario, vuol dire proprio abbozzare una storia della settima arte che inizia con La vendetta del mostro (Revenge of the Creature, di Jack Arnold, 1955) – dove Eastwood interpretava un piccolo ruolo non accreditato – e che, attraversando settant’anni e diversi generi, sembrerebbe non essersi ancora conclusa del tutto.
Figlio della Grande Depressione (nacque il 31 maggio del 1930), da attore sconosciuto in serie televisive di secondo piano e film a basso budget a protagonista del telefilm western Gli uomini della prateria (Rawhide, 1959 – 1966), Eastwood raggiunse il successo grazie all’incontro con Sergio Leone, che lo scritturò come protagonista (al posto di nomi illustri come James Coburn e Henry Fonda, troppo costosi dati i limiti di produzione) dello spaghetti western Per un pugno di dollari (1964), primo titolo della cosiddetta Trilogia del Dollaro, seguito da Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966), sempre diretti da Leone e con Eastwood riconfermato nella caratterizzazione di personaggi così diversi da quelli del western classico. Il successo fu strepitoso. “Mentre il cinema americano classico”, spiega Lasagna, “propendeva per l’eroe con un innato senso di giustizia, quello interpretato da Eastwood fuoriesce dallo schema tradizionale e si rivela disposto a vendere la proprio pistola al miglior offerente”. Cinico, imperturbabile, granitico: questo era il pistolero di Clint Eastwood, protagonista di una “visione brutale, realistica e trasfigurante del West”, tra ironia, pessimismo e nichilismo. Di Sergio Leone, Eastwood aveva detto a distanza di tempo: “Di Sergio ricordo le parole che mi hanno fatto diventare un attore migliore: tieniti stretta la fantasia, l’immaginazione dei bambini”.
La sua ascesa professionale e i profitti della Trilogia del Dollaro permisero all’attore di fondare nel 1967 una propria casa di produzione, la Malpaso Productions, originando una simbiosi sempre più stretta tra la componente imprenditoriale e quella autoriale che sarà un segno distintivo in tutta la sua carriera. Il primo film messo in cantiere dalla Malpaso fu Impiccalo più in alto (Hang ‘Em High, di Ted Post, 1968), ulteriore passo in avanti nella demolizione del mito del West con Eastwood chiamato a impersonare uno di quegli individui – così ricorrenti nella sua filmografia di attore – “in cui affiorano debolezze e tratti di una dirittura morale alquanto contraddetta”.
Anche se la sua ben radicata immagine nei film diretti da Sergio Leone è sempre stata imprescindibile, il western non è il solo orizzonte entro cui identificare il cinema di Clint Eastwood. Risultati gratificanti li ha ottenuti in altri generi, come il thriller e il poliziesco. Particolarmente riuscito, dopo il sodalizio con Leone, quello con il regista Don Siegel (L’uomo dalla cravatta di cuoio, 1968 – Gli avvoltoi hanno fame, 1970 – La notte brava del soldato Jonathan, 1971), che firmò il primo film di una serie di cinque polizieschi realizzati tra l’inizio degli anni Settanta e la fine degli Ottanta, con protagonista il personaggio dell’ispettore Callaghan (Ispettore Callaghan, il caso scorpio è tuo!, 1971) che permise a Eastwood di “trasporre nel contesto metropolitano sobillato dalla violenza” i caratteri salienti del suo pistolero western. Accusato di fascismo da parte della critica e dell’opinione pubblica, Callaghan rappresentava un altro di quegli antieroi moralmente ambigui così ricorrenti nella carriera del nostro: coriaceo, individualista, non allineato, in rotta col sistema, “contrastato dalla burocrazia, sdegnato e risentito, provocatorio nei modi e nella volontà di riscattarsi da un grave torto subito facendo giustizia da solo”.
L’anno del primo Callaghan è anche l’anno di uscita del film esordio di Clint Eastwood dietro la cinepresa: Brivido nella notte (Play Misty for Me, 1971), un film che ha dimostrato sin da subito la capacità indiscutibile di Eastwood “di essere al contempo protagonista e regista con piglio convincente di un proprio film”. Ne sono seguiti molti altri, tutti oggetto dell’attenta disamina di Roberto Lasagna: Breezy (1973), Il texano dagli occhi di ghiaccio (The Outlaw Josey Wales, 1976), L’uomo nel mirino (The Gauntlet, 1977), Bird (1988), Gli spietati (Unforgiven, 1992), Un mondo perfetto (A Perfect World, 1993), I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County, 1995), Space Cowboys (2000), Mystic River (2003), Million Dollar Baby (2004), Gran Torino (2008), Il corriere – The Mule (The Mule, 2018), per citarne alcuni.
Prima delle vette artistiche del suo ultimo film, il già citato Giurato numero 2, l’ultranovantenne Clint Eastwood aveva già sorpreso il pubblico con Cry Macho – Ritorno a casa (Cry Macho, 2021) che lo vedeva nuovamente nella doppia veste di regista e attore con un personaggio – quello di Michael Milo, ex campione di rodeo – per certi versi autobiografico: un uomo segnato profondamente dal tempo, rallentato, “ma di cui resta intatta la capacità di sguardo”. Lo sguardo di Milo è anche lo sguardo dell’infaticabile Eastwood, al quale Lasagna è riuscito a rendere il doveroso omaggio accompagnando il lettore “tra i film, le tematiche e le scommesse di un cineasta” (scrive Lapo Gresleri nella prefazione) “premiato dal coraggio di saper esprimere posizioni non di rado anche rischiose o discutibili ma affrontate in maniera tanto sfacciatamente provocatoria e controcorrente com’è lui”.
Roberto Lasagna, Clint Eastwood. Una storia del cinema, Weird Book, Roma 2025
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