Gloria e la sua quotidianità riappaiono in Gloria Bell, rivisitazione americana della pellicola realizzata dallo stesso Sebastián Lelio nel 2013. Cinquantottenne divorziata con un buon lavoro e figli adulti persino troppo indipendenti, Gloria, che la sera va a ballare con amiche e conoscenti, è affamata di vita ma consumata dalla solitudine. Una figura sbiadita agli occhi degli altri, in cerca di attenzioni che le mancano. La figlia si innamora di un surfista venuto dalla Norvegia, che viene presentato a Gloria in una sequenza in cui, come in altre situazioni, non le viene dato spazio, mentre il tempo scorre veloce e sembra metterla in ombra. Quando Gloria incontra Arnold, anch’egli transfuga da un matrimonio finito, sembra esplodere la passione e con essa la speranza in un futuro insieme. Arnold è però separato in casa, con due figlie spregevoli che lo ricattano, ha subito un intervento chirurgico che lo messo alla prova. Tra Gloria e Arnold non funziona però come potrebbe. Arnold non riesce a liberarsi dai vincoli familiari e non è ancora pronto per comprendere la condizione di Gloria, il cui matrimonio è finito da tempo anche se restano gli affetti.
Come in Disobedience, e dopo Una Donna Fantastica (premiato con l’Oscar), il regista cileno prosegue il suo discorso sull’emancipazione femminile, di cui coglie, nell’appassionato ritratto di Gloria, gli stimoli e le frustrazioni, ora calati in un’ambientazione differente rispetto all’originale del 2003. Los Angeles sostituisce Santiago, e ciò permette al cineasta di sperimentare a livello espressivo, con luci suggestive che tuttavia restituiscono un luogo al contempo neutro e universale, con colori attraenti che regalano note immersive sottolineate soprattutto nelle parti in cui si palesa la routine “danzante” di Gloria e nella romantica luna di miele minacciata dall’ingerenza della famiglia di Arnold. Lelio conserva i tratti principali del precedente film, regalando alla vicenda una dimensione più elegante e internazionale che non cela il gusto raffinato per i dettagli, in un remake fortemente voluto da Juliane Moore che compare anche tra i produttori esecutivi. E dove, nel film del 2013, i dettagli passavano allo spettatore attraverso lo sguardo di Paulina Garcìa – che recava una più immediata caducità fisica al personaggio e restituiva la malinconia di fondo del suo personaggio nel suo sorriso forzato e tenero – in Gloria Bell l’interpretazione di Julian Moore sottolinea l’attualità della condizione di una protagonista che, come già nel film premiato con l’Oscar, il regista vuole in alcuni momenti far assurgere a emblema.
La versione di Juliane Moore è di notevole impatto, a tal punto che Lelio, nell’attingere energia dalla sua interpretazione, ha buon gioco mentre la segue come aveva fatto con Paulina Garcìa, accompagnandola – come nell’appassionante adesione alla vita di Daniela Vega – mentre naviga e danza in un racconto di sentimenti e frustrazione, per permettere di lasciar capire allo spettatore quello che lei vuole veramente. Tra intemperanze e incomprensioni che sono anche l’esito di disillusioni e di troppo investimento negli altri, Gloria comprende, con la sua grinta e il suo silenzioso coraggio, come possa essere importante “ballare da sola” senza perdere speranza nell’amore. Le sue fragilità non la condannano come sarebbe potuto accadere in passato a tante donne a cui il precedente Gloria faceva evidentemente richiamo.
Questa volta Gloria danza in un contesto in cui la subordinazione del femminile è un costume che si vuole scongiurato, tanto che a un certo punto la donna, dinanzi alle fughe e alle assenze di Arnold che non dimostra il coraggio che occorrerebbe per liberarsi dal passato, in un gesto di rabbia, surreale e liberatorio, gli spara e lo imbratta con il fucile giocattolo, umiliandolo davanti alla casa in cui l’uomo si sente costretto a fare il servizievole servo delle ingrate figlie.
Kill Bill non è passato invano e Gloria si rimette in auto, corre via ascoltando la musica che cadenza la solitudine ma non anche l’arrendevolezza; porta anzi con sé il senso, spaesante e folgorante, di una rivendicazione. Lelio ha identificato in Arnold/John Turturro il perfetto contraltare, in una prova che, ancor di più rispetto al predecessore Rodolfo/Sergio Hernàndez, vive di un’apparente imperturbabilità che all’inizio è intrigante e poi palesa difficoltà e immobilismo esistenziale, rendendo la relazione tra lui e Gloria un insinuante crescendo di trasalimenti dell’animo poi arenato ripetutamente in punti fermi e ritrosie. Ma il sentimento non è solo un fantasma, qui c’è e si sente, ad esempio nella sequenza di piani ravvicinati in cui Arnold legge la dolce poesia di Claudio Bertoni a Gloria che, come le succede sempre più spesso, si emoziona e piange. La tentazione di freddezza formale che era uno dei rischi di Disobedience, e la suggestione fantasmatica che circondava la camminata di Daniela Vega in Una donna fantastica, sono tratti che si dissolvono in Gloria Bell ed è coinvolgente l’esplorazione interiore che Lelio offre del personaggio, il rapporto con se stessa che nel film diventa quell’auto-scoperta in grado di motivare un remake, di dare corpo alla sua urgente attualizzazione sottolineando come l’incontro con l’altro, mentre può dar luce a aspetti sterili, può essere invece l’occasione per comprendersi e accettarsi.
DATA USCITA: 7 marzo 2019
GENERE: Drammatico, Sentimentale
ANNO: 2018
REGIA: Sebastián Lelio
ATTORI: Julianne Moore, John Turturro, Alanna Ubach, Michael Cera, Sean Astin
PAESE: USA, Cile
DURATA: 102 Min
DISTRIBUZIONE: Cinema Distribuzione
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