La terza edizione dell’Alessandria Film Festival è arrivata insieme alla primavera e ha portato con sé una ventata di freschezza e di novità. Il festival, che si pone come obiettivo quello di dare visibilità al cinema indipendente nazionale ed internazionale, riesce ogni anno a centrare il bersaglio proponendo al suo pubblico opere qualitativamente alte e registicamente interessanti che, talvolta, rasentano persino l’avanguardia sperimentale.
Volendoci concentrare solo sulla sezione cortometraggi – era presente anche una sezione lungometraggi con cinque film in concorso –, balza subito all’occhio come anche il più amatoriale dei dodici corti selezionati abbia un’impronta didattica o quanto meno impegnata. Infatti, l’americano Diva & Astro di Angel Barroeta, usando la ripresa imprecisa, mossa e “voyeristica” di un cellulare documenta uno spaccato di quotidianità violenta della periferia, denunciando i crimini e il degrado che stanno ai margini e che spesso vengono volontariamente ignorati dalla società perbenista.
In concorso era possibile ammirare corti che vantavano tutte le caratteristiche per essere considerati dei veri e propri piccoli film. E’ il caso de U Muschittieri, di Vito Palumbo, che in venticinque minuti di girato montati con minuzia e maestria, mette in scena una favola attuale, onirica, ma anche realista, che racconta la caparbia indole di un bambino disposto a tutto pur di far trionfare la giustizia. E’ l’infanzia romanzata di un uomo che entrerà nella storia del nostro paese lasciandovi il segno.
Ampio spazio è stato dato anche all’animazione che si è guadagnata i premi più ambiti in entrambe le sezioni in concorso. Tra i cortometraggi è stato lo svizzero Circuit di Delia Hess a trionfare. Un racconto simbolista e filosofico sulla circolarità dell’esistenza e sui suoi significati, sulla ripetitività, ma anche sulla bellezza della nascita e della morte, sul valore degli inizi e delle conclusioni. Poetico e stratificato si merita a furor di popolo il premio per il miglior cortometraggio.
Più complicata sembra essere stata la scelta dell’opera a cui assegnare il premio per la miglior regia: ci sono stati infatti un vincitore ed una doverosa menzione speciale, due italiani, scaltri ed intraprendenti. Si sospetta il movente passionale con l’aggravante dei futili motivi di Cosimo Alemà è un unico piano sequenza di quindici minuti che tiene il pubblico con il fiato sospeso. Un piccolo thriller al femminile che strizza l’occhio al teatrale Otto donne e un mistero di François Ozon e all’adrenalinico Victoria di Sebastrian Schipper, che si aggiudica la miglior regia. Menzione speciale ad Acquario di Lorenzo Puntoni, altro thriller, che punta tutto sulla degenerante follia di un atto eclatante compiuto nella claustrofobica location di una piscina comunale. Soggettive, campi e controcampi che si espandono e restringono supportati dai riflessi evocativi di un’acqua che si tinge di rosso e di morte annunciata.
Infine, il premio alla miglior interprete è andato a Diella Valla, protagonista del cortometraggio kossovaro Ajo diretto da More Raça che segue le vicende di una giovane donna che con coraggio si ribella e fugge dalla famiglia che vuole imporle un destino infelice fatto di obblighi e sottomissioni alle imposizioni maschiliste.
E’ dunque facile capire quanto variegata ed interessante sia stata la produzione selezionata e visionata all’Alessandria Film Festival. Uno stimolo continuo, un tartassante ed intrigante invito all’analisi, alla riflessione e all’esplorazione del mondo contemporaneo in tutte le sue sfaccettature. Questo è il cinema che oggi si può definire vincente: quello universale, vero, d’impatto, ma pur sempre fortemente connotato e indipendente.
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