Paolo Badalì, in arte Rosso Fiorentino, esordisce con il documentario Carlo Alianello, la voce dei Vinti, dedicato all’omonimo scrittore e drammaturgo, uno dei maggiori autori del novecento rimasto a lungo nell’ombra perché considerato poco rispettoso delle patrie memorie e solo di recente rivalutato dalla critica.
Ha partecipato al film antologico “P.O.E. – Poetry of eerie” mettendo in scena il capitolo “The Raven” (Il Corvo), realizzato vari cortometraggi e una webseries.

Rosso Fiorentino sul set
Ma il suo primo lungometraggio di fiction è del 2016: Figli Come Noi, in concorso al Barcelona Planet Film Festival 2017: Narrative Feature Film e al Mediterranean Film Festival – MEDFF 2017 e che proprio ora sta uscendo in versione DVD.
Anche se i nomi non vengono mai pronunciati, in esso si racconta, tra le altre, anche la vicenda di Stefano Cucchi. Insieme a quella di Federico Aldrovandi, Katiuscia Favero, Giuseppe Uva e Alberto Bigioggeroe gli anarchici Sole e Baleno: le storie vere di sei morti che dal 1998 ad oggi hanno sconvolto l’Italia, facendo discutere e dividendo l’opinione pubblica, soprattutto perché la vittima era sotto la custodia dello Stato. Un duro atto d’accusa contro gli abusi di potere della polizia, intentata con uno stile molto realistico, ma anche simbolico e con tratti surrealistici.
Sei stato coraggioso a scegliere di raccontare delle storie così difficili… Il cinema ha anche il compito di riparare ai torti di una politica scellerata o corrotta?
Per molto tempo lo ha fatto, anche e soprattutto in Italia, gli esempi sarebbero innumerevoli, ma oggi anche quei film che in teoria sono di denuncia, servono in realtà a contenere le critiche al sistema in uno spazio controllabile, tenerle al guinzaglio.
Pensate al film “Sulla mia pelle” (uscito due anni dopo il mio), parla solo della vicenda Cucchi e, pur suscitando forti emozioni, alla fine sposa appieno la teoria della “mela marcia” nelle forze dell’ordine e si distacca completamente dalla denuncia di un “sistema marcio”, in cui fanno carriera i violenti e i prepotenti, mentre chi vorrebbe denunciare i soprusi viene minacciato, punito e non farà mai carriera.
Oppure lo fa in maniera da trasformare il messaggio di denuncia in burla, pensate alla serie e al film “Boris”, che denunciano sistematicamente il marcio nell’ambiente della televisione italiana, ma lo fanno facendo riedere, e ci riescono benissimo, così che ciò che rimane sono le risate, ma non la denuncia. In realtà credo sia lo specchio dei tempi.
Quali sono i registi e i film che ami di più?
Io non sono un grande cinefilo, a dire il vero. Certo, amo i mostri sacri come Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Elio Petri e tutti quelli che hanno fatto la storia del cinema. Tra i “giovani” forse quello che ammiro di più è Garrone. Sui film sorvoliamo, la lista sarebbe troppo lunga.
Perché hai scelto la regia?
In realtà ho sempre fatto un po’ tutto nei miei lavori, un po’ perché sono miei e un po’ perché non avevo i soldi per pagare altre persone. Li ho montati tutti io, li ho scritti, ho fatto l’operatore, la fotografia e la produzione. Certo, se avessi i soldi per chiamare chi voglio sul set non farei più tutto, ma seguirei sicuramente la scrittura, la regia, il montaggio. Ma in fondo la risposta alla tua domanda è molto più semplice: perché è il lavoro più bello del mondo.
A cosa stai lavorando ultimamente?
Ho appena finito di girare il cortometraggio di un amico, che si chiama “Fuori Corsia”, un bel progetto, scritto bene, una sorta di commedia tragicomica sulla malasanità che sperò avrà successo nei festival.
Come mai i produttori italiani sono così poco lungimiranti e così timorosi nei riguardi di nuovi progetti?
Perché sono troppo potenti: in pochi gestiscono tutto il sistema e quindi lo hanno reso più facile da gestire, senza sorprese, e se anche qualcuno arriva con un prodotto migliore dei loro, non avrà mai visibilità. Per questo non esiste un cinema indipendente qui da noi.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Progetti tanti e soldi pochissimi, come tutti nel mio campo. Mi piacerebbe girare un film solo sulla vicenda di Sole e Baleno, di cui parlo molto velocemente in “Figli come noi”. Anche in questo sono stato battuto sul tempo, una regista argentina ha fatto un film solo su Soledad, su cui davvero non mi esprimo, salvo far notare che un film che dovrebbe trattare principalmente dell’oscenità del potere è stato girato dalla figlia del presidente argentino Macrì, che di potere vive da sempre.
Ma un progetto che forse ha più probabilità di ottenere finanziamenti è mettere in scena il romanzo “Il mago deluso”, del 1947, di Carlo Alianello. Come hai scritto, anni fa ho fatto un documentario su di lui, che viene usato come pubblicazione scientifica per studiarlo. Ma ti dirò un segreto: Carlo Alianello era mio nonno, quindi c’è anche una ragione personale. Nella affascinante e apparentemente quieta provincia italiana, la storia s’impernia sulla lotta tra misticismo e magia nera, tra un gobbo deforme, Venanzio, che cerca di sostituire al proprio corpo infelice la potenza di un’occulta stregoneria, e la sorella di lui, Agnese, di una purezza ingenua, quasi monacale, seguace, invece, di una magia bianca.
Il centro di questa lotta, il polo magnetico del conflitto è Concita, l’affascinante moglie di un uomo quasi imbelle, Angiolino, della quale il gobbo è follemente innamorato.
Il dramma si scatena quando in questo cerchio di stregonerie, passioni e preghiere s’inserisce Massimo, un giovane professore di scienze naturali giunto lì per un incarico universitario. Il gobbo riconosce in lui un rivale, Concita sente rinascere in sé la violenza di antiche e temute sensualità, tutti e due, per opposti motivi cercano con la magia di sbarazzarsi di Massimo, costruendo sortilegi satanici attorno a un fantoccio di cera. Così matura la tragedia, in mezzo a superstizioni ed elevazioni, con un crescendo ossessionante di drammatiche scene, sino alla purificazione finale.
Quale è secondo te il male peggiore che affligge il nostro Paese?
C’è da più di vent’anni a questa parte un processo di imbarbarimento, che ora ha raggiunto una fase davvero impressionante. Ora è normale farsi la guerra tra poveri e riverire i potenti, odiare di un odio cieco e inumano i più sfortunati e prostrarsi di fronte alla ricchezza e al potere. Un nuovo periodo di controriforma in cui la meschinità e la vigliaccheria vengono premiati con una benevola pacca sulla spalla e dove l’intelligenza, l’umanità e anche la creatività vengono represse brutalmente. Quando questo periodo sarà finito dovremo spiegare ai giovani come si sia potuti arrivare a questo punto. Non sarà facile.
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