“Erano poco più che ragazzini, erano tutti figli come noi…diranno che fu solo un incidente e quel dolore atroce, chi lo porterà? Lo porterà la gente…” Cantava il gruppo musicale romano Il Muro del Canto nel 2015, con la canzone Figli Come Noi.
Il regista Paolo Badalì, in arte Rosso Fiorentino, riprende il bel titolo di questa canzone struggente che racconta i casi di abuso da parte delle forze dell’Ordine e di Istituzioni Statali ai danni di comuni cittadini, che si sono tradotti in violenza tale da portare alla morte, e ne fa un film.
Figli Come Noi, pur evitando di fare i nomi dei veri protagonisti, racconta cinque storie vere accadute nell’Italia di oggi e lo fa senza edulcorare, senza mezzi termini. Il risultato è un film di una violenza scioccante, e non tanto si tratta della brutalità fisica che è spesso solo accennata, quanto di quella che rende inermi e indifesi di fronte all’enormità del fatto e alla sua rimozione e negazione da parte delle Istituzioni. Infatti la violenza peggiore è quella perpretata i danni di un più debole, che si vede negato qualsiasi diritto di replica, trovandosi di fronte a un muro di gomma che minimizza, ridicolizza e spesso cerca di capovolgere gli avvenimenti, umiliando e colpevolizzando vittima e familiari.
Le parole delle Istituzioni infatti – la colpa è della famiglia, era una mela marcia, è morto perché drogato, sua figlia ha fatto una birichinata, ecc… – pesano più di un manganello e il regista, che è anche sceneggiatore del film, ne fa un uso sapiente, tanto che “Figli come noi” non illustra solo le storie, ma racconta La storia di ogni forma di brutalità e sopruso da parte di un’Istituzione donandole un valore universale. Infatti quando chi è preposto a difendere e a tutelare la vita, l’integrità, anche morale – che sia Stato o Chiesa – si macchia di un crimine, è più che mai vitale, per la fiducia nella stessa Istituzione, che la verità possa emergere.
Al contrario, nella maggior parte dei casi il sistema difende se stesso, negando ad oltranza e proteggendone i membri, confermando così la sua natura torbida e insana, a scapito e a danno di tutti. Rosso Fiorentino alterna brevi episodi narrativi a visioni metaforiche e simboliche, con uno stile personalissimo che introduce lo spettatore in un incubo. Lo stesso incubo che hanno vissuto quei ragazzi e quelle ragazze, inermi – proporzionalmente come lo è un comune cittadino di fronte a un centro di potere – e soprattutto soli. Dopo di loro, se è La Legge che doveva tutelarli ad averli invece uccisi, non resta nessuno, se non un genitore annientato dal dolore o un parente a chiedere che la vera giustizia sia fatta.
A tutti gli effetti, Figli Come Noi è un film del terrore, proprio perché dice la verità.
Quella famosa verità su Stefano Cucchi, giovane tossicodipendente massacrato a morte durante la detenzione in carcere, che Rosso Fiorentino ha raccontato due anni prima di Sulla Mia Pelle, il film che ne ha reso celebre una vicenda, e che pubblica opinione e politica prima di allora, avevano sempre rinnegato.
La verità su Federico Aldovrandi, morto mentre tornava a casa a piedi, un pò sballato alla fine di una serata tra amici in un locale, e il cui petto è stato schiacciato fino all’asfissia dai poliziotti. Il sangue dietro la sua testa, un’aureola rossa, una corona da martire per un ragazzino morto a 18 anni, è stata definita dagli inquirenti un cuscino che gli era stato messo per farlo stare più comodo.
La verità sulla trentenne Katiuscia Favero, giovane madre che ruba un orologio, finisce in carcere e poi in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, nel quale viene più volte violentata. Denuncia il fatto, viene immediatamente trasferita in carcere, poi di nuovo nell’OPG, nel quale trova la morte in un suicidio che desta molti sospetti.
La verità su Giuseppe Uva e Alberto Bigioggero, due amici che prima di rientrare a casa, mezzi ubriachi, commettono una bravata spostando transenne in mezzo alla strada. Invece di una eventuale detenzione, Giuseppe Uva trova la morte dopo torture e pestaggi, tanto che la sorella all’obitorio stenta a riconoscerlo. Poi ci sono Sole (Soledad Rosas) e Baleno (Edoardo Massari), i fidanzatini anarchici accusati ingiustamente di eco terrorismo al punto da suicidarsi entrambi, dopo gogne mediatiche e detenzioni prolungate. Solo in seguito si scoprirà la loro innocenza.
Il cinema di denuncia sociale un tempo faceva parte della tradizione cinematografica italiana, che fece scuola, con rappresentanti come Elio Petri, Marco Bellocchio e Francesco Rosi. Tra i recenti, non dimentichiamo Diaz (2012) di Daniele Vicari, lo stesso Sulla Mia Pelle di Alessio Cremonini o anche L’Esodo di Ciro Formisano, solo per citarne alcuni, che avrebbero meritato più spazio. Pur con mezzi limitati, Rosso Fiorentino riesce a fare un cinema di qualità che non accetta compromessi. In un paese e in un’epoca, dove è vero tutto e il contrario di tutto, fatto di imbonimenti e oppiacei mediatici, nel quale l’unica cosa che conta sono il consenso e il compiacimento, il coraggio non è cosa da poco.
GENERE: drammatico/storico
ANNO: 2016
REGIA: Rosso Fiorentino
CAST: Romeo Cirelli, Ughetta d’Onorascenzo, Maurilio Giaffreda, Andrea Carpiceci, Antonio Mastellone, Simone Destrero
PAESE: Italia
PRODUZIONE: Paolo Badalì
DURATA: 77 minuti
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