Ci sono film dove le citazioni di classici del cinema e della letteratura si sprecano, con risultati più o meno riusciti. Ce ne sono altri dove non si cita, ma si pesca alla rinfusa nel ricco serbatoio del già visto, e spesso in modo incolpevole, semplicemente perché immagini e concetti sono stati immagazzinati nella memoria culturale di un individuo e fanno ora parte del suo immaginario.
Alla seconda categoria appartiene Serenity – L’Isola dell’Inganno, terzo film diretto dal regista e sceneggiatore britannico Steven Knight, che all’inizio sembra muoversi agevolmente nelle acque torbide del noir (e cristalline dell’Oceano Atlantico) per poi svuotarsi di significati e contenuti strada facendo.
Il risultato è che in un brodo esotico si mescolano un po’ di Melville, un po’ di noir anni 40, un pizzico di paranormale, una vena mistica, il mondo della tecnologia e repentini colpi di scena.
Il tutto tenuto insieme da un prestante Matthew McConaughey, mai così tanto sexy, tanto nudo e tanto dannato. La maschera oscura e maudit di McConaughey serve a disegnare il personaggio di Baker Dill, un reduce della guerra in Iraq che vive nell’isola di Plymouth, dominio inglese nel Mar dei Caraibi, dove porta a pescare i turisti sulla sua barca Serenity.
Molte ombre gravano sul passato di Dill, ossessionato da un pesce inafferrabile che deve catturare a tutti i costi, anche quello di minacciare con coltello in mano i turisti paganti che vogliono sottrargli la preda. Il film sembra andare nella direzione di una lotta simbolica alla Melville (anche se invece della balena qui c’è un tonno…), facendoci presagire con piacere una storia intensa dove il mistero sconfina nel magico e forse ci aspetta anche una riflessione illuminante sul significato del destino. Un’atmosfera bizzarra e inquietante, con personaggi ambigui che contribuiscono a infittire il mistero, rendono ancora più intriganti le premesse. Poi l’arcano improvvisamente vira verso una spiegazione più prosaica e improbabile, e la storia crolla in tanti cliché, dove le mise vintage di Anne Hateway, femme fatale della situazione, e le inquadrature notturne rimandano a vecchi classici del cinema di genere.

Diane Lane e Matthew McConaughey
A Diane Lane è riservato il ruolo dell’amante protettiva ed enigmatica di Dill, come sibillini sono tutti i personaggi che seminano per il film battute stranianti. Parole chiave come “tentazione” e “giustizia” sono sparpagliate nella sceneggiatura con intenti misterici, cui si aggiunge la presa di coscienza che nella realtà geografica Plymout è una città fantasma nell’isola di Montserrat.
La vita del protagonista viene sconvolta quando dal passato emerge la seduttiva ex moglie Constance (Anne Hathaway in versione bionda), che insinua nella mente di John Mason, alias Baker Dill, la tentazione di eliminare il marito ricco e violento. A questo punto i cliché fanno naugragare la barca Serenity e tutto il suo equipaggio nell’oceano della banalità, rivelando un ottuso finale a sorpresa dove il figlio di John e Constance svolge il ruolo di deus ex machina.
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