Pur allacciandosi direttamente al primo film (IT) uscito nel 2017, con i protagonisti ormai adulti che si ritrovano a distanza di ventisette anni nella cittadina di Derry per combattere di nuovo contro il mostruoso clown Pennywise (Bill Skarsgård),e nonostante aderisca fedelmente alla struttura del celebre romanzo di Stephen King, il secondo capitolo della mini saga cinematografica diretta dall’argentino Andrés Muschietti proprio non convince. Sarebbe stato meglio, forse, discostarsi di più dal libro e optare per un film più semplice e lineare. Se il primo capitolo risultava molto godibile, la nuova sceneggiatura – con tutto l’indiscutibile impegno che un lavoro del genere richiede – non decolla.
It – Capitolo due pretende di mettere insieme tante, troppe cose che, se nelle pagine del romanzo (uscito per la prima volta nel 1986) hanno funzionato molto bene facendone uno dei capolavori assoluti di Stephen King, sul grande schermo male si amalgamano. Il risultato è davvero confuso. Chi non dovesse conoscere la storia originale, con questo film ha la sensazione di trovarsi di fronte a una grande forzatura, il frutto di idee e soluzioni che sembrano quasi raffazzonate. C’è di tutto: bullismo e omofobia, violenze domestiche e sentimentalismo, psichiatria, giganteschi effetti speciali, umorismo involontario, un gusto eccessivo e del tutto gratuito per il sanguinolento, drammi esistenziali, rituali sciamanici dei nativi d’America. Ma gli autori hanno calcato troppo la mano e il rischio, spesso, è quello di scadere nel kitsch. Ogni tanto il clown, vera e geniale metafora delle nostre angosce, si riappropria della scena e sono gli unici momenti di autentica paura, soprattutto quando le sue vittime sono creature indifese come i bambini. Per il resto è tutto troppo slegato e per l’intera durata del film (quasi tre ore, un incubo!) è un alternarsi di noia, eccessi gore, situazioni ridicole che in certi momenti sembrano uscire da un banale horror movie per teenager… e poche scene veramente riuscite.
I continui salti temporali tra presente e passato a volte funzionano, altre volte un po’ meno. Le affinità tra gli attori che, già nel primo film, interpretano i protagonisti da piccoli e quelli adulti che si ritrovano a distanza di quasi trent’anni sono particolarmente azzeccate. Ma a risultare più convincenti, comunque, sono sempre i flashback che ci riportano alla fine degli anni Ottanta, dove ritroviamo i piccoli eroi che con un patto fraterno avevano dato vita al club dei Perdenti. I grandi non sempre riescono a eguagliare la bravura dei bambini. Il finale recupera in parte la credibilità e l’efficacia del primo capitolo: il clown, sotto forma di enorme ragno, viene finalmente sconfitto, non con la forze fisica ma con la forza di volontà dei Perdenti, che lo feriscono emotivamente nel suo ego insultandolo e sminuendolo fino a farlo diventare sempre più minuscolo e inerme, per poi strappargli il cuore e spappolarlo. Con la morte di It, i protagonisti (ne manca uno, che ha deciso di suicidarsi per non essere costretto a rispettare il patto di sangue e dover affrontare nuovamente la difficile impresa) seppelliscono i fantasmi del loro passato, quei traumi infantili che non hanno mai potuto fare a meno di trascinarsi dietro anche in età matura. Ma per arrivare al lieto e rigenerante epilogo bisogna guardarsi tutto il film, purtroppo.
L’unico vero sussulto di gioia lo abbiamo quando, nell’ultima parte, riconosciamo sua maestà Stephen King in persona, nel fugace ruolo di un rigattiere che per l’esosa cifra di trecento dollari vende a Bill (James McAvoy) la sua vecchia bicicletta d’infanzia arrugginita, esposta nella vetrina del negozio, approfittandosi della sua notorietà. Bill, infatti, è diventato uno scrittore e uno sceneggiatore horror di successo. Sul bancone del negozio c’è un suo libro e quando l’autore si offre di autografarlo, Stephen King gli dice con indifferenza di lasciar perdere: non gli è piaciuto il finale.
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