Il regista Lucky Moore occupa un posto di rilievo nella storia dello spaghetti western, fosse solo perché il suo secondo film ha come protagonista assoluto un attore del calibro di Klaus Kinski.
KK, non nuovo a collaborazioni del genere, ha sempre alternato grande cinema, ruoli indimenticabili nel cinema di Herzog, a partecipazioni all’apparenza meno edificanti ma comunque rispettate soprattutto perché remunerate e, si sa, un attore deve lavorare.
Nell’enorme oceano di produzione di cinema italiano di fine anni ’60 fino all’inizio degli ’80, a nessuno è stata negata una regia, una produzione, un tentativo nel cinema di genere. Al nostro Lucky Moore, ne sono stati concessi due.
Entrambi girati con sapienza e cura, Una pistola per cento croci e Black Killer. Film oggi dimenticati in realtà occupano da qualche giorno un posto di rilievo nelle cronache di mezzo mondo. Perché?
Perché dietro allo pseudonimo di LuckY Moore, si nascondeva uno dei personaggi più eclettici, simpatici, e pieni di talento artistico che l’Italia abbia mai avuto, Carlo Croccolo. E qualche giorno fa Carlo se ne è andato per sempre nella sua Napoli.
L’incursione come regista nello spaghetti western era inevitabile per uno che nella vita ha fatto tutto. La commedia negli anni ’50, il doppiatore di Stanlio ed Ollio, il teatro di Garinei e Giovannini, gli sceneggiati Rai, la radio, la televisione più importante, quella della RAI e dei varietà, i locali notturni (storico resterà il suo locale a Roma, aperto negli anni ’80, “L’Anacroccolo”, che un amico di vecchia data mi diceva frequentato dai più grandi viveur di Roma e dalle corrispettive di sesso femminile, nel pieno di quella esaltazione tutta italiana del boom economico di quegli anni.
Una vita al massimo, una vita al limite, durata 92 anni, passati tra i grandi soldi del cinema, dalle difficoltà del teatro, alla sua passione decennale per il computer e internet, passione che non ha mai smesso di coltivare fino alla fine. Volutamente ho tralasciato il suo legame con Totò, quello è testimoniato dai loro film, dai loro duetti, dai loro tempi comici, nel rapporto capocomico- allievo, ben rappresentato dai ruoli spesso ripetuti di signore e maggiordomo. Croccolo, forse per troppa pigrizia o per estremo spirito di avventura, per irrequietezza, non perseguirà mai con disciplina la strada che tutti vedevano tracciata come attore comico erede della tradizione napoletana, anche se malgrado se stesso la vita lo smentirà quando gli sarà assegnato il Davide di Donatello per la sua interpretazione nel film di Magni, ‘O Re.
Nei suoi mille rivoli, o meglio nelle sue diverse ramificazioni, Carlo Croccolo si esprimeva istintivamente, con una lucidità senza pari e con il suo carattere non proprio facile. Ancora negli ultimi tempi dirigeva la troupe dei suoi cortometraggi. Nell’ultimo legge “A Livella” di Totò a una classe di bambini che dovrà poi portarla in scena a scuola.
Una volta, mi sentii chiamare “Nicolino!” con la voce che sembrava quella di Totò, ma era la sua, riconoscibile, e mentre mi parlava il mondo intorno a me cambiava, uno squallido studio televisivo si trasformava in un set di un film diretto da Steno, a cinecittà, nel 1957-58. Mi resi conto che in quel momento era la sola testimonianza di una generazione che andava estinguendosi e di un tempo che stava diventando lontano. Storia. Nelle sue mille avventure, tra le quali quella di produrre film western, credo che Carlo cercasse un sentiero verso il sole, ed è così che preferisco immaginarlo, nelle vesti di Lucky Moore, in sella ad un cavallo, le pistole nella cintura ed una cittadina polverosa. In fondo, il cinema, a questo serve, ad immaginare.
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