Disponibile su RaiPlay Cleo dalle 5 alle 7 (Cléo de 5 à 7), un film del 1962 diretto da Agnès Varda. Scritto e sceneggiato da Agnès Varda, con la fotografia di Paul Bonis, Alain Levent e Jean Rabier, il montaggio di Pascale Laverrière e Janine Verneau, le scenografie di Jean-François Adam, Bernard Evein e le musiche di Michel Legrand, Cleo dalle 5 alle 7 è interpretato da Corinne Marchand, Antoine Bourseiller, José-Luis De Villalonga. Il film uscì nelle sale cinematografiche francesi l’11 Aprile 1962, distribuito dalla CCFC (Compagnie Commerciale Française Cinématographique); il 10 Maggio successivo venne proiettato al Festival di Cannes. La televisione francese lo trasmise per la prima volta nel 1992 sul canale Arte. La pellicola ha subito un restauro in 2K nel 2012 attraverso gli Archives Françaises du Film du CNC e supervisionato dalla scrittrice/regista Agnès Varda, con il lavoro sull’immagine svolto presso il laboratorio Digimage e il lavoro sul suono presso Elude. In Italia fu distribuito dalla Interfilm il 6 Ottobre 1962. È stato trasmesso in televisione per la prima volta il 29 Gennaio 2022 su Rai 3.
Trama
Cléo è una giovane cantante, di moderato successo, che si aggira per Parigi mentre attende i risultati di un importante esame medico.Il film cattura le due ore che la separano dall’appuntamento con il dottore previsto per le 7. In questo lasso di tempo Cleo incontra, amici e sconosciuti, entrando ed uscendo da appartamenti e negozi, muovendosi tra le strade affollate di Parigi, a piedi, su taxi e tram; in un susseguirsi di conversazioni e riflessioni personali sul senso della vita. La preoccupazione per l’esito degli esami medici innesca una serie di pensieri che mettono in discussione le sue scelte professionali ed individuali, fino a farla cadere in un profondo stato di solitudine ed impotenza.
“Un ritratto di donna inserito in un documentario su Parigi, ma è anche un documentario su una donna e l’abbozzo di un ritratto di Parigi. Dalla superstizione alla paura, da rue de Rivoli al café du Dôme, dalla civetteria all’angoscia, da Vavin alla gare du Maine, dall’apparenza alla nudità, da Parc Montsouris alla Salpêtrière, Cléo scopre, un po’ prima di morire, il colore strano del primo giorno d’estate, nel quale la vita diventa possibile”.
(Agnès Varda, 1962)
“La realtà di Cléo è anzitutto la realtà profonda del nostro tempo, dell’anno 1961 nel quale si trascinava la guerra d’Algeria, ‘pas drôlede guerre’. È importante che il film, come la Giovanna d’Arco di Carl Dreyer, sia stato ‘girato in sequenza’, sequenza temporale e sequenza spaziale. Ogni cosa contiene il tutto. Una goccia di rugiada può riflettere l’intero universo, come amavano ripetere Ėjzenštejn e Dovženko. Novanta minuti della vita di una parigina possono contenere le angosce e le preoccupazioni di una nazione, la Francia, quand’anche per gli spiriti superficiali il suo universo non fosse che un piccolo mondo di sarte e fioraie, di parolieri e paparini. Ho nel cuore, da allora, una piaga aperta. Non ci era mai stato fatto vedere così bene questo nostro tragico tempo dei ciliegi, con la morte e la tortura a ogni angolo della strada, negli spettacoli quotidiani. E questa angoscia non è niente di metafisico, è tutta fisica. Avrò il coraggio di rivedere Cléo? Questo film mi tocca troppo in profondità. E non mi piace star male. Ma se volete sapere cos’è un film vero, moderno, veramente del nostro tempo, se volete veder vivere gli eroi di oggi, se volete anche divertirvi – perché nella sua tragicità questa storia è molto buffa – allora via, non lasciatevi sfuggire Cléo dalle 5 alle 7”.
(Georges Sadoul, “Les Lettres françaises”, n. 922, 12-18 aprile 1962)
“Diciamo subito che questo film si trova sul piedistallo di una mia gerarchia tutta personale: Cléo dalle 5 alle 7, secondo me, il più bel film francese dopo Hiroshima mon amour, La dolce età e Il buco. Non c’è niente di più ammirevole di un’intelligenza nutrita di sensibilità, se non una sensibilità diretta dall’intelligenza. Niente di più raro di uno spirito appassionato tanto dal rigore quando dalla fantasia, se non un temperamento iper-istintivo e insieme lucidissimo. Cléo perciò è nello stesso tempo il più libero dei film e il più costretto dai condizionamenti, il più naturale e il più formale, il più realista e il più prezioso, il più coinvolgente a vedersi e il più bello a guardarsi. […] Le armi della seduzione della Varda sono molteplici: i dialoghi, la bellezza delle immagini e quella della protagonista, la ricchezza inventiva della messa in scena fanno di lei ‘lo stile'”.
(Roger Tailleur, “Positif ”, n. 44, marzo 1962)
“Agnès Varda eccelle nella ripresa in diretta ma supera lo stadio del documentario e i limiti evidenti del cinéma-vérité perché tutti i fotogrammi filmati camminando per le vie di Parigi sono ripensati e incorporati in un montaggio brillante che suggerisce ancor meglio la stanchezza e l’angoscia di Cléo (le maschere, gli studenti travestiti, il litigio nel caffè, il mangiatore di rane, il saltimbanco che si perfora il braccio, ecc.). “Documento soggettivo”: la definizione applicata dall’autrice al proprio film non resta forse la migliore?”.
(Jacques Belmans, “Marginales”, n. 87, 1962)
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