Clint Eastwood difende una contro-epica che nel 2004 si traduce in un fulminante pugno nello stomaco per gli spettatori del periodo: Millior Dollar Baby, film che produce, dirige, interpreta e di cui scrive interamente la colonna sonora. Eastwood porta in scena una vicenda molto nelle sue corde, un’altra immersione nella realtà non filtrata da una reverie nostalgica fatta di rimpianti ma dall’adesione al personaggio che anche in questo caso affronta una grande sfida. La sfida è sia quella che accoglie Franckie Dunn (Clint Eastwood) manager di una palestra che decide di allenare una donna pugile, sia quella di Maggie Fitgerald (Hilary Swank), determinata a farsi strada nel mondo della boxe.
La sfida, in definitiva, di chi torna a credere in una collaborazione che possa far divampare speranza, convinzione, determinazione, e possa restituire la possibilità di agguantare uno spazio per chi dalla vita ha avuto poco o nulla, a cominciare dagli affetti familiari che nella vita di Maggie sono un fardello ingrato (la madre e i parenti sono un ritratto di disfunzionalità e parassitismo), mentre la società delimita condizionamenti senza offrire risposte convincenti. Quella sfida per avere un posto proprio nel mondo viene accolta da Frankie, il quale va a messa ogni giorno da 23 anni per dare lenimento a qualche atavica e misteriosa colpa ma il suo tormento deve essere un conto aperto se continua a porre al prete domande senza risposta sull’Immacolata Concezione e la Santa Trinità. Frankie, visto come un mito dalla giovane aspirante pugile, non è un individuo pacificato ma tenta ugualmente di non farsi convincere dalla grinta della ragazza a cambiare proposito. Non ci riuscirà.
Darà voce ai sentimenti che finiranno per legarlo come un padre alla donna che seguirà e aiuterà negli allenamenti e nei combattimenti. Eastwood si conferma regista rigoroso e realistico che sa sviluppare con asciuttezza le parti dietro le quinte dando un ruolo di narratore saggio a Eddie detto Scrap, l’amico fedele interpretato Morgan Freeman. Maggie ha una grande grinta e sogna di ambire al titolo mondiale; è una a cui piace stendere al primo colpo l’avversaria e in Frankie trova chi sa capirla e seguirla come un’ombra, tanto che la loro relazione lascia emergere, appunto, le parti inconfessate di una collaborazione che porta Eastwood a raccontare una storia di impegno e sacrificio che la splendida fotografia di chiaroscuri di Tom Stern scolpisce di un sentimento di adesione a quella che non intende essere un’esaltazione tecnica delle gesta sportive.
Lo sport è un mondo di disciplina che impone di mettersi alla prova, di dare un senso al proprio carattere investendo in una conquista o riconquista di valori e appartenenza che nel caso di Million Dollar Baby confluisce nella definizione di un senso di famiglia nuova, quella tra Frankie e Maggie, non necessariamente suggellata da legami di sangue, dove entrano in scena le scelte personali con i concetti di libertà e autodeterminazione (nel finale, in cui Eastwood non risparmia un affondo doloroso, si affronta il tema dell’eutanasia, con il gesto coraggioso e non certo facile di Frankie che libererà Maggie dalla sua condizione ingrata dopo il fatale incidente sul ring che l’ha ridotta in un irreversibile stato semivegetativo).
Gli attori sono bravissimi e Million Dollar Baby, con la colonna sonora dello stesso Eastwood che ribadisce l’intensa adesione del cineasta, è un’opera sentita e vibrante che evita di cadere nel melodramma strappalacrime e libera il suo inno alla vita non contraddetto neppure dal finale lancinante. Frankie è un Clint Eastwood con tratti di dolcezza dietro la scorza del ruvido allenatore di pugili, uno che nella vita è abituato a difendersi dalle relazioni e nona caso aiuta gli altri a difendersi sul ring: ma il dolore che vive, e la scommessa che lo ha rimesso in gioco, sembrano parlare di un bisogno profondo di credere ancora una volta in un ideale, che lo sport accompagna.
L’ideale di scommettere in un viaggio non più solitario, fatto di impegno e soddisfazioni ma anche di cadute: un percorso duro e autentico difeso con passione e mille attenzioni, estraneo ad ogni finzione come quelle che si possono vivere in una famiglia opprimente e mortificante (Hilary ha trovato in Frankie una persona che può ben capirla, lui che ha consumato una rottura radicale e dolorosa con la propria famiglia).
Million Dollar Baby è un film sentito e appassionato dal gusto avvincente e dalle note ombrose, che fa vincere a Eastwood il secondo premio Oscar come miglior regista, e lo stesso accade a Hilary Swank che viene premiata di nuovo con l’Oscar quale miglior attrice protagonista (la prima volta fu per Boys Dont’Cry, 1999), mentre a Morgan Freeman, in un ruolo di grande profondità, è riconosciuta una statuetta quale miglior interprete non protagonista. La sceneggiatura è di Paul Haggis che firmerà anche le successive fatiche come regista di Clint Eastwood: Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima.
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