Cuore sincero di una filmografia di cui si riprendono e riassumono le caratteristiche salienti e le frequentazioni predilette, Honkytonk man (id., 1982) è innanzitutto una vicenda ambientata durante la Grande Depressione diretta con toni asciutti e controllata partecipazione emotiva da Clint Eastwood davanti e dietro la macchina da presa. Egli vi interpreta un cantante country, Red Stovall, diretto al Grand Ole Opry di Nashville per un’audizione. Nonostante le difficoltà, in famiglia non lo ostacolano nel suo sogno e ad affiancarlo nel viaggio c’è il giovane nipote Whit (interpretato da Kyle Eastwood, figlio del regista e bravissimo nel ruolo), presto raggiunti da una ragazza stonata, innamorata di Red che sogna anche lei il successo e la platea di Nashville (si chiama Marlene Mooney ma il suo nome non la convince ed è interpretata dalla bravissima Alexa Kenin, che scomparirà ad appena ventitre anni per complicazioni dovute all’asma).
L’avvio del film presenta una coloritura western dagli accenti fordiani e si porta verso notazioni on the road, lasciando spazio alla passione di Eastwood per il cinema classico in cui il personaggio di Red, vagamente ispirato a Jimmie Rodgers, tra le prime superstar della musica Contry, ci viene presentato come un guascone malinconico deciso ad andare incontro al suo sogno. Il racconto lo rivela intimamente nelle sue bizzarrie e debolezze, alle prese con l’alcool, il denaro, e la malattia. Tisico e sempre più fragile, Red si ritrova con grossi problemi alla voce, e tuttavia non rifiuta l’ultima possibilità di incidere un disco offertagli da un produttore lungimirante in ascolto durante una sua audizione. L’artista e la fortuna arrisa all’arte non sempre convergono e Honkytonk man indaga quella realtà malinconicamente inconfondibile che il Country racconta, raccogliendosi attorno alla figura di un cantante, impersonato dallo stesso Eastwood, che si vuole cantore di chi non rinuncia alla strada, di chi non abdica alle proprie aspirazioni più sentite rischiando persino di commettere atti pericolosi (come rubare i soldi a dei giocatori di poker in una delle sequenze più riuscite di un film che alterna momenti comici ad altri più d’atmosfera).
Nel viaggio sbalestrato di Red e compari verso Nashville i paesaggi sono perlustrati da una fotografia nitida che valorizza le praterie degli States, quelle dove Red si guadagna solitamente da vivere suonando, in cui si rammenta che quei paesaggi furono motivo di sogno per molti che arrivando da lontano vi trovarono uno spazio di affermazione. Red, con la sua musica, la sua affermazione l’ha cercata in un equilibrio che l’alcool e la malattia finiscono per far vacillare, fino a quel riconoscimento postumo che i suoi amici a parenti potranno raccogliere. La musica è un patrimonio che vive grazie alla voce di personaggi che nelle loro canzoni riversano la loro sensibilità inconfondibile e Clint Eastwood, prima con Honkytonk man e sei anni più tardi con l’omaggio a Charlie Parker di Bird (id., 1988), afferma come il suo stesso cinema sia attraversato dalla musica e delle atmosfere che lasciano sprazzi di vita dei personaggi.
Honkytonk man, dopo Bronco Billy (id., 1980), rappresenta l’anima d’autore più sensibile e disarmante di un cineasta-attore-produttore i cui film sono espressione di uno sguardo disincantato e intenso sull’America; in essi il sogno è conservato come quella dimensione che permette di ritrovarsi pacificati (come confiderà Charlie Parker/Bird a sua moglie Chan), cioè sempre più vicini a un senso di armonia con la natura e il mondo. Un’atmosfera che Honkytonk man insegue attraverso le sonorità country e con la cura estetica sorretta da una fotografia che, nonostante una parte finale più cupa, lascia scorgere pienamente i paesaggi in cui hanno trovato conforto le speranze dei sognatori. Proprio dove le scorribande di Red, i suoi ricordi, trovano uno sfondo emotivo che Eastwood sa modulare in un racconto capace di cadenzare efficacemente momenti comici e punte nostalgiche.
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