Con Il texano dagli occhi di ghiaccio (The Outlaw Josey Wales, 1976) Clint Eastwood dirige il film e ritorna anche protagonista davanti alla macchina da presa nei panni del pistolero solitario e infallibile che gli diede fama nella Trilogia del dollaro di Sergio Leone. Seconda regia western di Eastwood, rispetto a Lo straniero senza nome siamo di fronte decisamente a una crescita stilistica in cui appare in risalto il rigore della rappresentazione che Eastwood vuole calata tra i vissuti degli emarginati ai quali dedica uno sguardo non convenzionale. Il cineasta riprende i paradigmi del western e li ripropone in un’ottica che ridiscute pagine di Storia assediando il mito, minando le supposte certezze su chi siano i buoni e i cattivi che partecipano alla formazione degli Stati Uniti sul finire della Guerra di Secessione. Il suo personaggio, Josey Wales, è un contadino dedito alla sua famiglia e al duro lavoro che un giorno vede uccidere davanti ai suoi occhi moglie e figlio da un’orda di razziatori a cavallo schierati con l’esercito dell’Unione infuocati dal Capitano Terrill (Bill McKinney). Nonostante egli sia riuscito a rimanere fuori dalla guerra di secessione, ne rimane duramente colpito: accorrerà nel vano tentativo di salvar la sua famiglia, ma intanto anche la sua casa verrà distrutta e, tramortito, non verrà ucciso soltanto perché ritenuto morto. Wales si unirà ad alcuni sudisti e mediterà la sua vendetta. Quando poi la guerra sarà al termine e i nordisti ne usciranno vincitori, i suoi compagni saranno invitati a deporre le armi dietro la promessa di inclusione pacifica nella nuova unione, ma Wales che non accetterà di integrarsi si darà alla clandestinità, vedrà il tragico tradimento che determinerà la fine dei suoi compagni, scoprendosi infine ricercato con tanto di taglia sulla testa da quel famigerato Terrill oggetto della sua vendetta. Ne originerà una caccia all’uomo fatta di fughe e astuzie ma anche di incontri umani che lo faranno crescere come uomo.
Il texano dagli occhi di ghiaccio urla sdegnato il suo monito polemico con l’intento di risvegliare le coscienze dal torpore: oltre i perimetri della società organizzata in cui si fa strada con toni arroganti la formazione della Nuova America, ci sono vite di poveri diavoli o coltivatori come Josey Wales che non hanno mai voluto prendere parte alla guerra non per egoismo e per scarsa coscienza politica ma proprio perché alla guerra non hanno mai creduto; ci sono donne che finiscono stuprate e trattate peggio di animali; ci sono pellirosse straordinariamente lontani dalla visione da cliché della prima fase del western classico ovverosia per nulla aggressivi ma capaci di dialogare con i coloni pacifici in mutua convivenza. Singolarmente interessante, nel racconto, il ritratto di un personaggio come il capo Cherokee Lone Watie, in grado di esprimere una coscienza filosofica non priva di ironia, svettando in dignità rispetto alle attitudini dell’uomo bianco che sotto l’egida del progresso non contempla un vero ruolo per i nativi nei disegni e tra le promesse della nuova società. Questo personaggio, interpretato da Chief Dan George che fu già Cotenna di Bisonte ne Piccolo grande uomo (Little Big Man, 1970) di Arthur Penn, è uno dei fondamentali incontri di Josey Wales lungo la sua Odissea. In essa, il portamento freddo e silenzioso del pistolero interpretato da Eastwood riformula la definizione del personaggio scolpito con il cinema di Sergio Leone sostituendone caratteristiche e coniugandola con una misura stilistica asciutta e controllata, priva di ridondanze e manierismi formali.
Si tratta di uno dei migliori esiti di Eastwood regista che qui lascia scoprire un po’ alla volta un formidabile pistolero in grado di analizzare attentamente chi gli si pari innanzi minacciosamente (come i quattro nordisti armati su cui Wales, giunto nella cittadina, ha la meglio grazie allo studio delle loro psicologie), il quale mastica e sputa tabacco non nascondendo il suo sdegno e la sua irriverenza di uomo in cerca di una resa dei conti ma è anche in grado di placare il suo animo di combattente irriducibile. Con la sua fotografia limpida e i volti in perenne penombra dei personaggi, con i paesaggi e le radure in grado di raccontare il difficile ma costitutivo contatto quotidiano con una natura portatrice di vita autentica, Il texano dagli occhi di ghiaccio è una pagina saliente del cinema western revisionista che raccoglie un’umanità di sbandati – il vecchio Cherokee, la nativa americana Little Moonlight, la giovane Laura Lee (Sondra Locke) della famiglia dei pionieri con cui il protagonista vive una relazione romantica, la nonna della ragazza, alcuni messicani, un cane – affiancati da Josey Wales che li difende e sostiene finendo per ritrovarsi in una nuova famiglia nonostante la sua ritrosia. La vendetta di Josey alla fine arriverà, inaspettata, in realtà sotto forma di legittima difesa, perché con questo film Eastwood offre una meditazione sulla violenza, un tema che gli è caro e che almeno nelle motivazioni iniziali del personaggio rammenta un’assonanza molto forte quella del personaggio di Sentieri Selvaggi di John Ford.
Nella parabola di questo uomo pacifico forzato dalla Storia a diventare un fuorilegge si prospetta il recupero del rigore storico della tradizione fordiana nonché una messa a fuoco dell’etica della vendetta, già definita nella precedente regia western di Eastwood. I personaggi sono ombre che talvolta escono dall’oscurità e la caratterizzazione dei personaggi è sovente icastica. I tempi dilatati si accompagnano a un rigore narrativo in cui si innestano episodi stimolanti, come la figura del vecchio capo indiano che vive lo smarrimento della propria identità. Non mancano i duelli, e il personaggio di Wales ne persegue uno privato, un costante dignitoso resistere nella consapevolezza taciturna che si tratta di un compito assegnato a chi è abitualmente sconfitto dalla Storia. Una Storia che abitualmente nasconde le magagne e che il suo film si impegna a raccontare con sguardo libero e originale. Il western di Eastwood è privo di eccessi sentimentali, si dedica alle persone e agli emarginati e a loro affida l’attenzione di un racconto che sembra quasi una premessa o una prova generale del futuro Gli spietati. A fianco di un’epica della disillusione fatta di inseguimenti, deserti, notti all’addiaccio, un assalto a un villaggio di predoni, Wales si rivela intuitivo e pronto nei duelli, da quello buio e invisibile al mondo contro un brutale cacciatore di teste dentro il “negozio” gestito da un abominevole commerciante, a quello alla luce del sole e immerso tra i campi che si riduce solo ad uno scambio di frasi tra Wales e l’ex-amico Fletcher, quando diventa evidente che combattere non serve ormai più e il personaggio si lascia alle spalle il passato andando forse incontro a una nuova fiducia (per l’altro, per il futuro).
Il respiro epico de Il texano dagli occhi di ghiaccio sembra scontare qualche eccesso di lunghezza ma questo metaforico viaggio elabora nelle cadenze del suo racconto le difficoltà di un uomo costretto a sopravvivere di cui percepiamo non semplicemente l’oscuro scrutare bensì l’irrappresentabile travaglio intimo che la strage della sua famiglia ha reso motivo del suo viaggio non riconciliato. Nel 1986 sarà realizzato un sequel del film di Clint Eastwood, The Return of Josey Wales, con Michael Parks nel doppio ruolo di interprete e regista.
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