Nelle campagne del Texas, non lontano da Dallas, due settimane prima della visita che costò la vita al presidente americano J. F. Kennedy, Butch Haynes (Kevin Costner) fugge dal penitenziario di Huntsville dove stava scontando una pena di quarant’anni per rapina a mano armata. Per la fuga disperata ha preso in ostaggio Philip (T. J. Lowther), un bambino di sette anni, e comprendiamo presto che l’evaso vuole rimanere solo con il bambino. Elimina il suo compagno di fuga il quale, diversamente da lui, è un viscido criminale senza scrupoli. E di scrupoli invece Butch ne ha, tanto che comincia a manifestare al bambino, abituato al rispetto delle rigide leggi dei Testimoni di Geova, l’affetto che un uomo può provare verso chi vive sensazioni comuni; rivede in Philip se stesso e si ritaglia per il giovane il ruolo del padre che il bambino non ha più. Philip, a sua volta, dimostra ammirazione per Butch, il quale sa creare ai suoi occhi un mondo dove tutto funziona e diventa a misura di bambino (la popolazione non ha problemi a riempire le tasche di Philip con i dolci di Halloween anche se il bambino si presenta con un giorno di ritardo, e questo grazie al suo angelo custode con pistola Butch che veglia su di lui e trasforma la situazione in un gioco cadenzato dalla formuletta “dolcetto-scherzetto”).
Nel teso deragliamento lungo le strade del Texas, Butch riesce a nutrire gli occhi del bambino di un mondo di sogno che purtroppo non potrà durare a lungo: l’uomo perde il controllo quando vede un contadino maltrattare il suo figlioletto e Philip si trova suo malgrado costretto a usare la pistola con Butch in una sequenza tesa e allucinata priva di alcun barocchismo e portatrice di una tensione disturbante.
Eastwood, con Un mondo perfetto (A perfect World, 1993), conduce con stile quest’odissea nel disorientamento che alterna la fuga di Butch al tentativo del ranger Garnett (Clint Eastwood) di mettersi sulle sue tracce. Una vera e propria missione on the road, dove alle calcagna del fuggitivo si muove una roulotte attrezzata a base mobile, con Garnett affiancato dalla criminologa fresca di diploma Sally Gerber (Laura Dern).
Garnett-Eastwood conosce bene le leggi e le strade del Texas, come conosce bene anche Butch Haynes, che egli arrestò quando questi era ancora minorenne e per il quale chiese una pena severa convinto che il rigore della cella lo avrebbe allontanato definitivamente dalla condizione di degrado e di dissoluzione della sua povera famiglia.
Garnett agisce ora nel dubbio di chi deve fare rispettare le leggi in un mondo fondamentalmente ingiusto. Non è convinto che la legge sia sempre la soluzione migliore (Butch è uscito di prigione rimanendo ciò che era prima, una persona buona cresciuta tra ogni tipo di umiliazioni e di violenze), né egli ha fiducia che chi lo circonda possa fare di meglio (la giovane criminologa, anche se idealista, è in fondo una burocrate pasticciona, mentre gli altri poliziotti o sono incapaci o non sono meglio dei killer cui danno di continuo la caccia).
Garnett in fondo vorrebbe un mondo più giusto anche per il fuggiasco e si rammarica di dovere essere proprio lui, il quale ha riconosciuto l’inadeguatezza della soluzione carceraria, a costringerlo alle corde per poi reinserirlo in un ambiente che potrà fargli più male che bene (il film evoca non soltanto l’idea della legge inadeguata alle esigenze e alla situazione del singolo, ma anche la condizione delle forze dell’ordine disgregate e impreparate a cogliere gli eventi; si veda per esempio la bella sequenza del “deragliamento” della roulotte attrezzata che fa da eco simbolica all’incapacità degli agenti di sicurezza nel prevenire l’omicidio di Kennedy).
In conclusione, quando Butch per errore viene ucciso sotto gli occhi del bambino in lacrime, Garnett deve subire anche questo colpo: la sua presenza carismatica da sola non è bastata per salvare la situazione, il cinismo ha avuto la meglio sul sogno della fuga e anche se il ranger può sfogarsi mollando un cazzotto proverbiale al precipitoso tiratore/becchino, gli resta nell’animo soltanto una profonda desolazione per non avere fatto altro che seguire una legge inadatta alla condizione di Butch e alla sua urgenza di umanità. Il dolore del poliziotto che rispetta la legge si ritrova a scontare una disillusione che Callaghan conosceva bene e i dubbi del protagonista non sono dissimili da quelli di Horrigan, sebbene avvertiti in modo probabilemebte più tragico rispetto a come li percepiva l’agente di polizia di quel film “soltanto” interpretato da Eastwood (Nel centro del mirino).
Nei film di e con Clint Eastwood dei primi anni Novanta a prevalere è l’immagine di un uomo necessariamente solitario, per il quale il dolore e l’isolamento sono alimentati dalla sensazione, giustificata dai fatti di tutti i giorni, che la consapevolezza della disperazione sociale e dell’ingiustizia non sia un sentimento collettivamente partecipato, ma vissuto fino in fondo soprattutto da quei pochi uomini condannati a patire a dispetto della loro integrità morale e della loro tragica grandezza.
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