La scrittura, la felicità, la politica, la pandemia, il futuro: sono alcuni dei temi che lo scrittore Erri De Luca ha affrontato con i giffoner di IMPACT! Riuscendo, ancora una volta, a ritagliare un tempo sospeso dove la parola, nelle sue molteplici declinazioni, è stata l’assoluta protagonista. “ Più si legge e più si diventa proprietari della propria lingua: solo così si alimentano gli anticorpi contro le false informazioni, è una questione di igiene personale – ha detto ai ragazzi – Credo che il motivo per cui ho iniziato a scrivere è perché da adolescente avevo difficoltà di comunicazione. Se sei una persona socievole, la scrittura può diventare un accessorio, altrimenti è una necessità. Quindi per me è stato il modo per cercare di superare le mie occlusioni. Ma non sono state le parole scritte a liberarmi, quanto invece il recupero della socialità, il parlare alla mia generazione, quella che ho trovato per le strade a sbarrarle per rivendicare diritti. Ecco, quella generazione mi ha rivoltato come un guanto e mi ha permesso di appartenere a una comunità”.
A chi gli ha chiesto se il suo lavoro l’avesse aiutato a conoscere lati nascosti di se stesso, De Luca ha detto: “Mi ha aiutato aver letto molti libri, mi hanno fatto capire tante cose, ma non con il sistema dell’introspezione psicologica, perché più che guardare quello che ho dentro mi piace affacciarmi alla finestra. Per questo amo i filosofi presocratici, la loro curiosità di spiegare il mondo con un sentimento di meraviglia nei confronti della bellezza. Poi è arrivato Socrate con il suo “conosci te stesso” che a me non interessa. Sinceramente la reputo una prescrizione dogmatica, mi piace conoscermi nel mondo e attraverso il mondo”. Il suo rapporto con la scrittura è quasi unico: “ Non sono un impiegato, non scrivo tutti i giorni, lo faccio quando lo sento perché è un momento di felicità e non una costrizione. Credo che chi lo fa per pagare le bollette alla fine si ritroverà in bolletta: il pubblico non è stupido e lo capisce. E poi credo di essere tra i pochi a scrivere ancora a penna, su un quaderno a righe. Oggi non lo fa più nessuno. La mia mano è il direttore d’orchestra e la sua andatura governa tutta la frase. Il mio pensiero non la incalza, hanno insieme una andatura lenta che scorre di riga in riga. L’unico che conosco che fa così è il mio amico Mauro Corona”.
La scrittura è soprattutto identità ed ha un legame preciso con la memoria: “ Dimentico tutto e per questo sono sorpreso dai ricordi. Comincio a scrivere quando la memoria mi rilascia qualcosa. Quel ricordo però non sta lì fermo, scappa, si muove di continuo e mentre scrivo una storia me la sto anche raccontando. Per me un romanzo è una passeggiata che non segue una pista battuta. È un po’ come andare in montagna – ha spiegato – All’inizio le possibilità sono infinite, poi man mano si riducono fino alla conquista della cima. Credo che questi ragazzi stiano vivendo alla base della montagna, hanno di fronte una miriade di occasioni”.
I giffoner hanno chiesto a De Luca la sua idea di felicità: “ Sulla felicità non possiamo contare. Durante la giornata sono spesso felice, ma per brevissimi istanti. Sono scintille che mi fanno aprire gli occhi. Nella Costituzione americana è sancito il diritto alla felicità che Franklin prese in prestito dal napoletano Gaetano Filangieri. Questo è molto bello, però la felicità deve essere un dovere, ognuno dovrebbe cercare di essere disponibile alla felicità e capace di trattenerne i granelli. È un esercizio: quanto più ci si allena, tanto più si riesce ad afferrare quelli successivi”.
Ma come si immagina Erri De Luca il post pandemia? “ Mi immagino che non finisca – ha spiegato – Nelle epoche precedenti le pandemie si esaurivano per l’estinzione del virus che non poteva più circolare. È stato così per la peste del ‘300, che ha portato via un terzo della popolazione. Quando ci si chiude in casa l’epidemia non circola, noi però viviamo in un mondo che non può permetterselo, dunque il virus continuerà a circolare con tutte le sue varianti. Sono convinto del fatto che abbiamo inaugurato l’epoca delle epidemie permanenti. E la conversione non potrà che essere realizzata da chi oggi ha quindici anni. Questa generazione è già il futuro ed avrà la responsabilità di avviare l’economia della riparazione dopo i danni finora accumulati. Amo Giffoni per questo: è il luogo ideale per ascoltare i ragazzi”.
Sulle polemiche relative alle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, De Luca è categorico: “Mi sono vaccinato e uso la mascherina perché è una manifestazione di responsabilità civile. Fin quando nessuno toccherà l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di tutti è garantita. Le limitazioni dettate dal Covid non hanno nulla a che vedere con il concetto di libertà”. Incalzato dalle domande dei giffoner, lo scrittore si è soffermato poi sull’idea della morte: “ Con quella degli altri ho un rapporto da analfabeta. Non sono capace di elaborare la perdita. Per me è sempre il giorno uno della loro assenza. Non ho dato loro il permesso di congedarsi e il mio modo di contrastare questo accadimento è quello di scrivere. Il potere della scrittura è questo: togliere alla morte il diritto ad avere l’ultima parola ”
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