Schiavo del potere, folle, tormentato fino alla morte dagli spettri delle sue vittime: questo, in un crescendo di orrore, è il Riccardo III raccontato da Roger Corman nel film La torre di Londra (Tower of London, 1962), con protagonista il superbo Vincent Price, che dal 1960 aveva avviato un felicissimo sodalizio con il regista statunitense nel ciclo di pellicole ispirate ai racconti di Edgar Allan Poe.
Immortalato dall’omonimo capolavoro di William Shakespeare, che contribuì a imbalsamarne il ricordo in un alone di leggenda non del tutto attendibile, Riccardo III, re d’Inghilterra per circa due anni (tra il 1483 e il 1485) e a cui i manuali di storia dedicano in genere pochissimo spazio, è stato al centro di varie trasposizioni cinematografiche. Ricordiamo innanzitutto L’usurpatore (Tower of London, di Rowland V. Lee, 1939), interpretato da alcuni dei volti più significativi del cinema fantastico: Basil Rathbone nel ruolo di re Riccardo, Boris Karloff in quello del sadico boia, il nostro Vincent Price qui nei panni dell’innocuo Clarence: è a questo film che La torre di Londra di Corman si rifaceva esplicitamente. Citiamo inoltre Riccardo III (Richard III, 1955), diretto e interpretato da Laurence Olivier ispirandosi fedelmente alla tragedia shakespeariana; la versione moderna di Richard Loncraine, Riccardo III (Richard III, 1995), dove il contesto quattrocentesco della Guerra delle Due Rose – sanguinosa lotta dinastica tra due rami della casa regnante inglese dei Plantageneti, York e Lancaster – era trasferito in un’immaginaria Inghilterra all’inizio degli anni Trenta del Novecento; Riccardo III – Un uomo, un re (Looking for Richard, 1996), interessante film inchiesta realizzato da Al Pacino, che si interrogava sul senso e sul fascino dell’opera shakespeariana, nonché sulle difficoltà della relativa messa in scena.
Roger Corman, maestro capace di ottenere nei suoi film atmosfere misteriose e suggestive con budget molto limitati, aveva concepito La torre di Londra con l’evidente intento di sfruttare appieno i risvolti orrifici della vicenda di Riccardo III, a discapito della scrupolosità storica. Ma già l’opera teatrale scritta da Shakespeare alla fine del Cinquecento tradiva in parte la verità: se è vero, ad esempio, che il deforme Riccardo duca di Gloucester, dopo la morte del fratello re Edoardo IV (avvenuta il 9 aprile 1483), non aveva esitato a sbarazzarsi di quanti ostacolavano il suo proposito di usurpare il trono al piccolo nipote Edoardo V, è invece un falso storico averlo descritto anche come mandante dell’uccisione di Giorgio duca di Clarence, l’altro suo fratello, nelle ore che precedevano la morte di Edoardo IV. In realtà, il duca di Clarence era già stato eliminato nel 1478 per aver tramato contro la corona, quando Riccardo era ancora fedele servitore del re e lo sosteneva lealmente nella lotta contro i Lancaster.
“La torre di Londra, un monumento alla corruzione delle anime, dove nel lontano passato un uomo tenne il trono d’Inghilterra seguendo una folle ambizione che lo trascinò al male e al delitto”: così la voce narrante, nel film di Corman, introduce il luogo che fa da sfondo agli avvenimenti.
Giorgio, duca di Clarence, nominato dal morente Edoardo IV protettore dei due principini, è la prima vittima di Riccardo, pugnalato a tradimento e affogato in una botte di malvasia. Inizia in questo modo la serie di delitti che costeggia la sua scalata al potere, complice la sfrenata ambizione della moglie di Riccardo, Anna. Ma l’uomo inizia ad essere tormentato dagli spettri delle sue vittime, del cui sangue innocente si è macchiato. Fantasmi, camere di tortura, scheletri vestiti di polverose armature accompagnano visivamente – come nella miglior tradizione dell’horror gotico – il crescendo di allucinata esaltazione del personaggio, sempre più schiavo del proprio sogno di potere, fino alla compiaciuta autoincoronazione di fronte allo sguardo attonito dell’arcivescovo. Infine, si arriva al drammatico epilogo nella piana di Bosworth, dove Riccardo si scontra con l’esercito di Enrico Tudor conte di Richmond e muore in preda alla follia, perseguitato fino all’ultimo dai fantasmi del suo passato.
A tratti patetico, con la sua gobba e l’andatura claudicante, il Riccardo III di Corman è senza dubbio uno spietato carnefice, ma c’è un passaggio del film che sembra per un attimo mettere in discussione la condanna morale del personaggio. Alla madre, che maledice il giorno in cui lo ha messo al mondo, Riccardo risponde: “Sei tu a parlare di Male, tu che mi hai dato la deformità di una schiena storta e di un arto anchilosato ! In chi di noi è il maggior Male madre mia, in te che m’hai fatto così o in me che devo sopportarlo ?”.
Parlando della loro fruttuosa collaborazione e dell’enorme popolarità raggiunta da Vincent Price in un cinema dell’orrore con poco sangue, incentrato prevalentemente sulla psicologia dei personaggi e su ambientazioni come specchio dell’anima, il regista disse:
“L’orrore ha a che fare con la perdita del controllo. C’è l’orrore crudo, che è semplicemente brutalità, ma esiste anche un orrore più sottile, che rappresenta un’intelligenza superiore, una sensibilità maggiore, un misticismo che può prendere il comando. Ritengo che Vincent fosse bravissimo a esprimere questo. Essendo un uomo istruito, era capace di interpretare una persona intelligente, sensibile, con una sensibilità portata al di là dell’ossessione” (in: Luigi Cozzi, a cura di, Vincent Price. Il re dell’orrore, Mondo Ignoto – Profondo Rosso, Roma 2002, p. 83).
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