Ti mangio il cuore è l’interessante romanzo d’inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini ispirato alla vera storia di Rosa Di Fiore, la prima pentita della mafia garganica. Così recita un passo il libro:
“Da tempo in Italia non esistono più soltanto la mafia siciliana, la camorra e la ’ndrangheta. C’è una quarta mafia, che oggi è la meno raccontata e conosciuta. Eppure è potente ed è la più feroce“.
Ad portare sullo schermo Ti Mangio il cuore, è il regista pugliese Pippo Mezzapesa, che già nel suo Il paese delle Spose Infelici (2011) aveva descritto una Puglia rurale e selvaggia nella quale si muovevano indomite anime femminili.
La protagonista è la cantante Elodie, qui al suo esordio cinematografico che, in quanto personaggio pubblico, ha calamitato l’attenzione dei media.
Ti mangio il cuore è un racconto di faida mafiosa e acerrima rivalità tra la famiglia dei Camporeale e quella dei Malatesta. Girato in un bel bianco e nero con la fotografia di Michele D’Attanasio, nonostante la chiara ambientazione nella Puglia degli anni 80, il film ambisce a una atemporalità da narrazione esemplare della folle efferatezza dell’animo umano, accecato da legami e promesse, da rituali macabri di sapore arcaico. Gli uomini si comportano e si muovono come animali, e spesso e volentieri sulla scena irrompono enormi maiali e mandrie di bovini e pecore allo sbando, in una corsa priva di senso che porta al massacro.
In questo contesto scoppia la torrida storia d’amore tra Marilena (Elodie), moglie del boss Santo Camporeale e Andrea (Francesco Patanè), figlio prediletto di Michele Malatesta ed erede del clan, che ben lontana dal pacificare i cuori, porterà ulteriore spargimento di sangue. Le ambizioni registiche sono parecchie ed elevate: dall’Iliade, con il possesso della più bella che trova rifugio nella casa del nemico, all’amore contrastato tra Romeo e Giulietta, per terminare in un bagno di sangue con delirio paranoico, degno di Scarface, nel momento in cui Andrea da mite diventa sempre più folle, odioso e spietato, arrivando a guardare con occhi iniettati di sangue perfino la sorella e il nuovo fidanzato.
Ti mangio il cuore, nonostante le sue velleità, è un film esteticamente piacevole e ben interpretato, che rimane uno dei tanti lungometraggi che raccontano sempre la stessa storia di criminalità, violenza e omicidi in modo didascalico, in un crescendo talmente furioso da risultare talvolta inverosimile. Elodie è nella parte ma il suo personaggio, per come è scritto, difficilmente spiega le ragioni dell’unicità e della ribellione della coraggiosa donna che incarna. Delusa dal nuovo compagno, vessata dalla madre di lui, che coglie ogni occasione per insultarla, esortata alla sottomissione e allontanata dai suoi figli, la ragazza fugge, e quel che accadrà dopo resta affidato ai titoli di coda.
Forse, quando si immergono le mani in una materia che vuole essere arcaica e si citano, più o meno volomtariamente, capolavori artistici patrimonio dell’umanità, prendersi troppo sul serio non è una buona idea.
Girato nello stretto dialetto garganico, spesso risulta difficile da seguire. Ma Paramount+ offre la possibilità di selezionare i sottotitoli, piuttosto necessari.
Che di mafia, camorra, malavita romana o andrangheta si parli, il palato del pubblico sembra quasi sempre soddisfatto, anche se talvolta – ma non è il caso di Ti mangio il cuore – si tratta solo di un pretesto per mettere in risalto il fascino maledetto dei protagonisti e creare una sorta di mitologia del crimine, nella quale gli assassini posseggono sex appeal, giustificazioni nell’infanzia e una glorificazione finale quasi cristologica.
Perchè vedere Ti mangio il cuore, che è stato presentato nella sezione Orizzonti della 79ª alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia? Per la bella fotografia, per le musiche del sempre ottimo e ricercato Theo Teardo, per ammirare Elodie, al suo esordio già diva, e per le interpretazioni fuoriclasse di Tommaso Ragno, Michele Placido e Lidia Vitale.
Perchè evitare Ti mangio il cuore? Per una storia, che seppure originale, viene raccontata in modo tanto didascalico ed esponenzialmente violento da sfociare nel grottesco, rischiando di risultare avvincente come un film per la TV.
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