Disponibile su RaiPlay L’Atalante, un film del 1934 diretto da Jean Vigo. È il secondo e ultimo film del regista, che morì poco prima di concludere l’opera. Il film narra una storia d’amore, ed è considerato tra i massimi capolavori del cinema francese degli anni 1930, soprattutto dagli esponenti della Nouvelle Vague, che sono stati gli artefici della riscoperta del regista. Il film è impregnato di poetico realismo, ma con due passaggi surrealistici, tra cui la famosa sequenza in cui Jean si tuffa nel fiume dove “vede” la sua amata. RaiPlay ha reso disponibile l’ultimo, più recente restauro, curato per Gaumont da Bernard Eisenschitz, nella versione che più si avvicina a quella originaria voluta da Vigo. Con Michel Simon, Jean Dasté, Dita Parlo, Gilles Margaritis, Louis Lefèbvre.
Trama
Appena sposati, Jean e Juliette salpano con il battello fluviale di lui, l'”Atalante”. A bordo il marinaio Père Jules tenta di sedurre la donna, così come farà anche un vagabondo. Fuga di Juliette, disperazione di Jean, ritorno della donna. Ultimo film di Vigo, morto lo stesso anno, in bilico fra realismo e poesia, fra sguardo sociale e avanguardia.
“Spremuti e premuti da 35 anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria, dieci film. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se ancora fossimo capaci di amare. L’Atalante di Vigo, allora, perché sublima proprio la lotta del cinema contro la morte dentro la morte, reinventando la sovrimpressione come atto d’amore tra immagini. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine, la follia dell’amore coniugale vista dall’alto come solo il cinema o un dio…”.
(Enrico Ghezzi, Cento film in dieci minuti, “il manifesto”, 21 giugno 1994)
“L’Atalante contiene tutte le qualità di Zéro de conduite e altre ancora quali la maturità, la maestria. Vi si trovano, riconciliate, due grandi tendenze del cinema, il realismo e l’estetismo. Ci sono stati nella storia del cinema dei grandi realisti come Rossellini e dei grandi esteti come Ejzenštejn, ma pochi cineasti si sono provati a fondere le due tendenze quasi fossero contraddittorie. Per me L’Atalante contiene nello stesso tempo À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960) di Godard e Le notti bianche (1957) di Visconti, vale a dire due film incomparabili, che sono certamente l’uno agli antipodi dell’altro, ma che sono anche quanto di meglio si è fatto in ciascuna delle due direzioni. Nel primo si tratta di accumulare frammenti di verità che combinati assieme condurranno a una sorta di favola moderna; nel secondo invece si parte da una favola moderna per ritrovare alla fine del viaggio una verità globale. Infine ritengo che spesso si sottovaluti L’Atalante vedendovi un piccolo tema, un tema ‘particolare’ in opposizione al grande tema ‘generale’ trattato in Zéro de conduite.
L’Atalante affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra”.
(François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003)
Il rapporto che ebbe Vigo con il soggetto originale de L’Atalante consente di farsi una idea della sua capacità di ‘manipolazione creativa’ di un materiale precinematografico assai banale e denso di ambigui luoghi comuni, per cavarne un film tutto giocato sulle atmosfere. Nel processo di trasformazione del soggetto originale in messa in scena cinematografica Vigo altera sensibilmente la natura della vicenda narrata e il carattere dei personaggi. Ma, quel che è più importante, riesce a fare delle atmosfere cinematografiche il vero ‘soggetto’ del film. Per ‘atmosfere cinematografiche’ intendo non solo gli ‘effetti’ stilistici o espressivi prodotti come il risultato di un certo modo di operare con la macchina del cinema. Piuttosto, intendo la capacità di far scaturire dalle cose stesse o da una vicenda appena abbozzata, dal tratteggio in punta di pennello dei personaggi, l’alone del senso che li tiene in vita, che tiene in vita il film. Dunque, la capacità che ha il cinema – con certi cineasti – di creare atmosfere attorno a fatti e materiali, una atmosfera concreta, palpabile, fatta di luci e di oggetti, di corpi e di personaggi umani e naturali. Mantenendo in apparenza intatto il filo conduttore della vicenda, Vigo ha trasformato radicalmente il senso del soggetto di Guinée, costruendo una storia che si regge sul bilanciamento della seduzione e dell’amore coniugale, e su una rara fusione tra la vita quotidiana, il lavoro e l’amore. Il gusto, l’esperienza e la sensibilità di Vigo si avvertono soprattutto nel tratteggio dei personaggi, nella manipolazione creativa dei corpi e dei luoghi, nel modo di riplasmare sotto l’intervento della macchina da presa i rapporti che legano gli uni agli altri. Rapporti delicati che si modificano impercettibilmente, giorno dopo giorno, durante lo scorrere lento della barca sui canali, durante l’alternanza di occupazioni giornaliere e pause della intimità, durante le tensioni tra l’amore e la curiosità per la vita immaginata in tutti i suoi aspetti. È così che prende corpo una visione complessa dell’amore e del piacere, il senso fisico della vita e del lavoro, la seduzione in tutti suoi aspetti e il richiamo alla saldezza delle scelte compiute.
(Maurizio Grande, Jean Vigo, La Nuova Italia, Firenze 1979)
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