Con Kes (id., 1969), il suo secondo lungometraggio per il grande schermo, Ken Loach adatta il popolare racconto di Barry Hines A Kestrel for a Knave, e racconta la vicenda di Billy Casper, un ragazzino che trascorre le sue giornate nella cittadina di Barnsley, in Inghilterra, trascinandosi nella miseria di una condizione che lo vede vessato, in famiglia e a scuola.
Bisognoso di trovare accoglienza e comprensione, nei momenti liberi Billy si occupa della distribuzione del giornale locale e con il suo peregrinare tra le strade e le persone egli è un testimone acuto e silenzioso della miseria umana e sociale che lo circonda. Egli cerca una fuga e la trova portandosi tra i boschi e le campagne in cui si dedica ad addestrare un falchetto ribattezzato Kes.
Mentre le ostilità del fratello non mancano, Billy trova finalmente un alleato in Mr Farthing, un insegnante che lo sostiene perché avverte in lui sensibilità e maturità, aspetti rimasti completamente incompresi e talmente rari da motivare il suo coinvolgimento. Questi incoraggia il ragazzino a trovare una realizzazione attraverso la sua neonata passione per il falchetto Kes, dando voce a quel sentimento di spensieratezza che è invece annichilito dall’allenatore/insegnante di calcio della scuola, un personaggio autoritario e infantile, dai tratti grotteschi, che gioca mentre arbitra, si pavoneggia dei suoi goal mentre dovrebbe invece soltanto insegnare lo sport, esaspera gli alunni nel suo atteggiamento di autoaffermazione non lesinando a Billy un trattamento in parte persecutorio. Il ragazzino peraltro, abituato a cavarsela da solo, resiste anche alle docce fredde inferte dall’allenatore, cerca di sgattaiolare e di farsi forte nonostante la magrezza e il senso di desolazione. La sua è una prova di resistenza che il racconto del film cadenza con uno stile sobrio e disincantato, di grande bellezza formale, con pagine di luminosa ricerca visiva cui nota un prezioso contributo l’astro nascente della fotografia cinematografica e futuro regista Chris Menges.
Loach gira nello Yorkshire un racconto di limpida osservazione naturalistica, in cui Billy trova istituzioni incapaci di offrire vincoli sociali di solidarietà, ma il fascino dei boschi e l’attrazione per quel senso di libertà che il falco rappresenta, lasciano sospirare, nei voli osservati in solitudine, il bisogno di uno sguardo più alto, più maturo, sganciato da vincoli di sopraffazione. L’emancipazione passa attraverso il senso di una bellezza che Billy ritrova nella natura, attraverso cui egli può elevarsi dalla miseria e dal degrado.
Girato dopo un lungo e apprezzato apprendistato per la televisione britannica, e dopo il film d’esordio per le sale, Poor Cow (id., 1967), Kes è una delle opere più belle e rigorose di Loach, dove la famiglia disfunzionale e l’incomprensione scolastica sono inquadrate come il nido disturbato di un adolescente che non incontra nel sociale risposte affettive o motivi solidali, ma soltanto regole da rispettare ottusamente e difficoltà di comunicazione. La scuola garantisce prevaricazioni e punizioni, arroganza e alterigia, particolarmente visibili nei segni d’indolenza su un ragazzino come lui dal fisico gracile, evidentemente malnutrito, il cui insegnante sportivo si gongola nel torturarlo con le docce gelate mentre il rettore lo bacchetta inserendolo nel gruppo umiliante dei reietti.
A casa, le pareti sono il luogo in cui la madre garantisce l’immagine della difficoltà a mantenere legami stabili e duraturi, e tra l’indifferenza dei familiari e le prospettive decisamente poco allettanti del duro lavoro nella miniera a cui è sottoposto il fratello Judd, il mondo emotivo di Billy non può che portarsi altrove, lontano da quel tormento di delusioni in cui manca completamente la figura del padre. Il ritratto di casa è incisivo: la madre si mostra quasi estranea alle vicende del figlio Billy, trascorre le serate in un pub in compagnia di un amico e quando alla fine un Billy rabbioso le mostra il falchetto morto e ucciso da Judd, sembra soltanto preoccupata che il cadaverino dell’animale non la sfiori; Judd, d’altro canto, è il fratello che la vita in miniera abbruttisce e che l’alcool rende molesto, pronto a sfogarsi sul piccolo Billy che tormenta svegliandolo a notte fonda e nei cui riguardi prova una profonda avversione.
Frustrazione e intransigenza sono all’ordine del giorno, e Loach trova in Billy un ragazzino in grado di cogliere nel volo libero del suo amato falchetto l’immagine ideale di un sogno che avrebbe bisogno di altre attenzioni emotive, di un contesto sociale e familiare davvero maturo, per poter essere salvaguardato.
Il film è il limpido ritratto dell’isolamento degli adolescenti nell’Inghilterra del nord sul finire degli anni Sessanta, una rappresentazione eloquente del disagio che la desolazione economica ha determinato in un’area raccontata dai romanzi di Barry Hines che Loach riprende per il grande schermo non lasciando fuori campo il deserto umano e la crudeltà della politica che le istituzioni ottengono di manifestare
Per il piccolo Billy il bisogno di uscire dal guscio per dare espressione al proprio spirito gentile è un aspetto drammaticamente incompreso, addirittura osteggiato dalla famiglia e dal fratello violento.
Loach non nasconde la rabbia, e accusa un intero ambiente che non comprende la necessità del ragazzino di uscire da un inferno quotidiano e che riporta il protagonista alla miseria originaria, impedendogli il volo (metaforico e in spirito) a fianco dell’animale addomesticato.
Lo sguardo documentaristico e oggettivo di Loach in Kes si coniuga con il proposito di contraddire e stemperare la dura rappresentazione dell’ambiente sociale, familiare e scolastico, per liberare momenti di intimità in grado di portare Billy lontano dal contesto oppressivo in cui vive le sue giornate: le attenzioni per il piccolo rapace sono per lui un cura alle delusioni dell’ordinarietà, e le verdi campagne che Chris Menges riprende con la sua magnifica fotografia dalle intense coloriture naturalistiche rappresentano la prospettiva di un mondo differente, dove poter dar corpo all’illusione, a quell’addestramento, un po’ alla volta, che sembra riprodurre la difficile ma praticabile opportunità di emancipazione di cui Billy ha tanto bisogno.
La crudeltà suburbana è affrontata da Billy che diventa così un personaggio dal non lontano sapore truffautiano nel tentativo di liberarsi dall’oppressione irrespirabile alla ricerca di un mondo parallelo (e a un critico come Michel Ciment, non a caso, Kes rammenta I quattrocento colpi – (Les Quatre Cents Coups, 1959).
Splendidamente impaginato e sospeso tra ambientazione cittadina e paesaggi di campagna, il racconto di Loach suggerisce il conflitto che il malessere di Billy reca, illuminando il proposito del giovane di affrancarsi da un mondo in cui le delusioni possono forse essere sfogate e tuttavia il compito arduo è innanzitutto quello di proteggersi dalla crudeltà della famiglia e della società, qualcosa che per gli adolescenti è motivo di una battaglia assai difficile. La via di fuga è per Billy una natura differente, evocativa di un dialogo intimo, tentativo di affrancamento che il ragazzino vive sino al suo tragico e disperato frantumarsi.
Lascia un commento