Disponibile su Youtube Nosferatu, il principe della notte, un film del 1979 prodotto, scritto e diretto da Werner Herzog. È il remake del film diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, Nosferatu il vampiro (1922). Herzog ha affermato di considerare il film di Murnau la pellicola più importante mai prodotta in Germania, e di averlo voluto rifare per stabilire un collegamento tra il grande cinema tedesco del passato e il cosiddetto “nuovo cinema tedesco”, di cui egli è un esponente. Sebbene il film di Herzog rispetti fedelmente le vicende narrate nel film originale, il regista (probabilmente per ragioni di botteghino) ha ripristinato i nomi del romanzo di Stoker, i cui diritti erano ormai scaduti mentre Murnau per via dei diritti d’autore ancora validi al momento della realizzazione del suo film era stato costretto a cambiarli. Tuttavia, rispetto al romanzo di Bram Stoker, i nomi di Mina e Lucy sono invertiti. Herzog affidò il ruolo principale del vampiro all’attore Klaus Kinski che si rivelò l’interprete ideale per quel ruolo donando al personaggio fascino e mistero. Al contempo però, il personaggio del Conte risulta più malinconico e umano rispetto alla versione di Murnau. Nel cast anche Isabelle Adjani e Bruno Ganz.
Trama
Jonathan Harker, incaricato di trattare l’acquisto di una vecchia casa di Wismar, lascia l’Olanda e raggiunge la Transilvania. Solo la moglie Lucy, che di notte ha sinistri incubi, si dimostra contraria alla sua partenza. Arrivato sul posto, Jonathan viene sconsigliato dal proseguire dagli zingari accampati nelle vicinanze del castello, ma nulla riesce a vincere la sua testardaggine. Capirà presto cosa minaccia la regione.
Herzog, lei ha dichiarato che Nosferatu di Murnau è per lei il film più importante dell’intera storia del cinema tedesco. Allora, perché rifarlo?
Non ho rifatto Nosferatu. Il mio film, diciamo, basta a se stesso. Si tratta di una versione totalmente nuova. Il contesto e i personaggi sono diversi, anche la storia è in qualche misura diversa. Ma lei ha ragione. Mi sento molto vicino a Murnau. È il mio regista tedesco preferito. Molto, molto al di sopra di Fritz Lang. Nosferatu di Murnau è il più visionario dei film. Un film che ha profetizzato l’avvento del nazismo mostrando l’invasione della Germania da parte del vampiro e dei suoi topi portatori di peste. Ha dato al cinema tedesco una legittimità che poi Hitler avrebbe distrutto. Per questo è per me un film così importante. La nostra è una generazione orfana di grandi cineasti, non ha potuto appoggiarsi a nessuna tradizione. Non è andata come in Francia, in Italia o in Unione Sovietica, dove la continuità è stata assicurata. In Germania s’è prodotto un vuoto che niente potrà mai riempire. Prima della guerra avevamo grandi filosofi, compositori, matematici. Tutto spazzato via. Sono anelli d’una catena che non si riallaccerà mai. Però io credo che esista una certa affinità tra il cinema tedesco degli anni Venti e il cinema tedesco attuale. Non è tanto una questione di stile quanto un modo di pensare la regia, un modo comune di guardare al cinema come a un’arte, un mezzo d’espressione serio.
Lei ci tiene ad avvertire gli spettatori che non si troveranno davanti un remake del film di Murnau. Potremmo dire però che è un Nosferatu rivisitato?
Quel che è chiaro è che entrambi derivano dallo stesso romanzo di Bram Stoker, Dracula – un catalogo di tutte le storie di vampiri diffuse all’epoca. Ma è chiaro che io non vivo negli anni Venti, la mia sensibilità non è quella, e non avrei avuto alcuna difficoltà a realizzare il mio Nosferatu se il Nosferatu di Murnau non fosse esistito. Nondimeno la mia ammirazione per quel film è tale che in alcune sequenze ho voluto citarlo letteralmente, girando deliberatamente le stesse inquadrature. Ciò che è più sorprendente, e costituisce forse la principale differenza tra il suo film e gli altri film di vampiri, è che questo Nosferatu esprime il mal di vivere del vampiro, il suo dolore, la sua sofferenza, quel che potremmo dire la sua angoscia esistenziale. Certo, è un tentativo si spingere il genere verso una direzione nuova. Il mio vampiro appare così umano, così assetato d’amore, così infelice nella sua solitudine e così irrimediabilmente triste che in capo a due minuti lo spettatore non vede più le sue unghie ricurve, le sue orecchie appuntite, i suoi denti di serpente.
Kinski, ancora.
Sì. Kinski ha qualcosa di speciale. Soprattutto, è il solo genio che io conosca. Anche se può sembrare eccessivo, ci tengo a dirlo in questo modo.
(Werner Herzog in un’intervista a Simon Mizrahi, 1979)
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