Nel settembre del 1944 Alfred Hitchcock propone alla RKO un soggetto che il produttore David O. Selznick gli ha sottoposto durante le riprese di Io ti salverò (1945).
Il racconto del film Notorius – L’amante perduta (Notorius, 1946) sviluppa una storia d’amore incentrata sul coraggio e l’abnegazione, dove la figlia di un nazista da lei rinnegato e condannato a vent’anni di prigione viene spinta a fare da spia per rivelare preziose informazioni su una rete di nazisti rifugiati nel Sud America. La sceneggiatura perfetta di Ben Hecht e Oden Clifford mette l’uno contro l’altro due uomini innamorati della stessa donna, e la particolare forza che il film restituisce lo si deve anche all’intensità del sentimento che lega i personaggi principali.
Alicia Huberman (Ingrid Bergman, che con Notorius interpreta, dopo Casablanca, un altro titolo destinato a diventare un grande classico) è contattata dall’agente segreto americano Devlin (Cary Grant) per una missione la cui scelta spetta solo a lei: potrà fornire le informazioni per annientare una rete di spie naziste ancora attiva Rio De de Janeiro. Tra Alicia e Devlin inizia una passione che scivola presto nel tormentoso conflitto tra amore e dovere, e in entrambi cresce il dubbio circa le intenzioni dell’altro. Devlin, reticente, sembra non fare nulla per fermare Alicia nella sua missione che la vuole tra le braccia di Alexander Sebastien (Claude Rains), il capo dell’organizzazione nazista, un tempo amico del padre di Alicia, affinché lei possa carpire i segreti e comunicarli al servizio segreto americano. La missione sembra per Devlin venire prima di tutto, ma in realtà in questo film in cui i non detti paiono oltremodo brucianti Hitchcock offre spazio al conflitto psicologico, alla gelosia che leggiamo negli sguardi di Sebastien quando scopre Alicia e Devlin baciarsi nei pressi della fantomatica cantina in cui risiede il deposito di uranio, ma soprattutto nelle espressioni sottotraccia che contraddistinguono il rapporto tra Elena e Devlin. Tanto è smaniosa e passionale lei, quanto si mostra trattenuto e “pratico” lui. In Notorius è quindi presente il tema del conflitto edipico che ritornerà nella cinematografia successiva del regista: la madre di Alessio è una figura dominante e invadente di cui il figlio mal tollera le interferenze nella sua vita amorosa. Mentre la gelosia, il tormento e la preoccupazione di Devlin per la sorte della sua amata, nascosti dietro gli sguardi seri e controllati di un magnifico Cary Grant in grado di lasciar trapelare un’ombra di severità tra i suoi sguardi e gli atteggiamenti preoccupati che la dicono lunga sul suo coinvolgimento nella vicenda, sono elementi di un groviglio emotivo che Hitchcock dipana attraverso l’evoluzione narrativa e lo stile fulgido di uno dei suoi film più memorabili.
Primo capolavoro americano del regista, definito da Truffaut “la quintessenza di Hitchcock”, Notorius incentra l’attenzione sul conflitto tra amore (quello dei due protagonisti) e dovere (il senso del sacrificio riguarda nel profondo entrambi), fra morale individuale e bene collettivo (Alica Ubermann, che sappiamo amare gli Usa a dispetto del padre spia nazista che si uccide con il cianuro in carcere dopo la sentenza di condanna a vent’anni di reclusione, nell’intento di collaborare con l’amato poliziotto Devlin e con i servizi segreti americani, sposando il nazista Alessio Sebasten transfuga in Brasile rischia di apparire agli occhi di tutti una donna facile – una “Mata Hari – ma in realtà allo sguardo del reticente Devlin divampa l’immagine di una donna che si sacrifica sia per una causa nobile che per amore…). Dietro la facciata a cui allude il titolo Notorius – conosciuto – c’è il tormento della passione, sia ideale (difendere il paese che si ama), sia sentimentale (sacrificarsi per condividere la missione di Devlin). Nel film, ciò che può apparire immorale per il singolo o per la società benpensante ed accusatrice dell’epoca, può non essere affatto immorale se agito per il bene della collettività. I molti alcolici che Alicia (Elena nella versione italiana) consuma, le servono per superare la condanna di un padre amato ma rinnegato e sono anche un modo per sopportare le prevedibili accuse della gente. Nel personaggio di Alicia, interpretato da Ingrid Bergman che per Hitchcock è stata la psicoanalista in grado di curare il personaggio senza memoria e identità di Io ti salverò (Spellbound, 1945) si invera il dramma della figlia inconsapevole di un collaboratore nazista: qualunque scelta lei dovesse fare in futuro, sarà condizionata dal giudizio severo dell’opinione pubblica. Ma nel film le colpe dei padri non devono cadere sui figli e nell’universo di Hitchcock Alicia vive un calvario che si rivela catartico anche per lo spettatore. Alicia sceglie senza pensarci troppo di buttarsi in una missione a tutto vantaggio del “suo” paese (sposando il nazista clandestino Alessio Sebastien si avvicina ai segreti della sua organizzazione eversiva), certo non solo per spirito di abnegazione ma perché influenzata dal silenzioso assenso apparentemente privo di tormento dell’amato Devlin.
Hitchcock risolve in sapiente estetica e con tempi perfetti le ambiguità e il nodo dei sentimenti. Con i suoi movimenti di macchina ci porta a cogliere quei dettagli che mettono ordine nel quadro delle priorità e chiariscono la condizione reale dei personaggi. Con il celeberrimo traveling che parte da una visione d’insieme del salone delle feste in casa Sebastien e arriva a posarsi sul dettaglio della chiave in mano di Alicia (è proprio quella che permetterà di aprire la porta della cantina misteriosa), il regista ci offre un esempio di focalizzazione che suggerisce come dietro la grande mascherata covino traiettorie inaspettate. Con le soggettive “appannate” di Alicia in preda all’annebbiamento della vista per il veleno assimilato, ci accorgiamo che il nazista Sebastien e la madre stanno mettendo in pratica l’ennesimo delitto “nascosto” dentro le pareti-lager dell’insospettabile borghesia tedesca. Con il finale in cui Devlin irrompe nella casa di Sebastien per salvare l’amata destinata a essere uccisa dal veleno, Hitchcock completa e perfeziona quel “processo” con cui il film aveva preso avvio e passa in rassegna i suoi protagonisti dividendo tra colpevoli e innocenti. Cary Grant – attore prediletto da Hitchcock e figura vicaria del regista – aveva fatto la sua apparizione di schiena durante una festa in casa di Alicia, era stato l’oggetto degli sguardi della donna che indirizzando le sue attenzioni all’uomo nell’ombra aveva prospettato l’emersione di un individualità finalmente conclamata all’ufficialità, accolta in quell’apice dialettico di intrattentimento e sguardo d’autore che è Notorius, dove la suspense, dilatata nei tempi e negli spazi, attiva il coinvolgimento dello spettatore ed è l’obiettivo hitchcockiano prediletto nella composizione dei movimenti di macchina e del montaggio. Devlin, in un finale giustamente celebre, si porta salvifico a liberare Alicia da quel fatale incatenamento che l’amore e l’abnegazione le avevano imposto nella scelta di una missione rivelatasi suicida. Non ci sarà posto per Sebastien sull’auto che parte portando via Elena e Devlin. Sebastien dovrà tornare dai suoi colleghi aguzzini che vorranno da lui chiarimenti sul misterioso e sospetto allontanamento della moglie tra le braccia di un altro uomo. In un finale teso e disperato, la porta della tetra abitazione che si chiude inglobando Sebastien è l’eco di una granitica imperiosità che riproduce con toni travi e solenni l’austero verdetto sul proprio operato sancito dai nazisti, pronti a condannare e a disfarsi di Sebastien, così come di ogni figura debole e di ogni tassello che ostacoli il passo dell’agghiacciante moloch totalitario.
Hitchcock e i suoi sceneggiatori hanno ben a fuoco il quadro storico in cui operano e Notorius è il quarto lungometraggio antimilitarista del grande regista, dopo Il prigioniero di Amsterdam (1940), Sabotatori (1942), Prigionieri dell’oceano (1944) e dopo i documentari d’impegno politico Bon Voyage (1944) e Aventure Malgache (1944) girati dal regista durante la seconda guerra mondiale. E Notorius è la seconda collaborazione tra Alfred Hithchock e Cary Grant, un’intesa perfetta grazie a cui il regista continua a lavorare con l’immagine divistica dell’interprete considerato il paladino della commedia per farne conoscere aspetti nuovi, una natura inaspettata di cui il precedente film realizzato insieme, Il sospetto (Suspicion, 1941), aveva gettato i semi insinuando la possibilità che dietro l’aspetto del personaggio covasse un potenziale assassino. Grazie a Hitchcock la star lascia affiorare aspetti di una spontaneità che definiscono il personaggio di Devlin il quale sin da subito appare di schiena, al buio, e rimane defilato e impotente per buona parte della vicenda lasciando percepire il peso del senso del dovere e l’amore per Alicia. Con questo personaggio Cary Grant lascia alle spalle quell’immagine di serena spensieratezza rintracciabile nei suoi personaggi più ottimisti per lasciar affiorare desideri più oscuri, una segreta passione che il personaggio del reticente Devlin rende manifesta nel finale del film e nei dettagli che lasciano trapelare il senso di soffocamento di un individuo in lotta con i propri sentimenti. Dal personaggio interpretato da Cary Grant Alicia si aspetta un gesto, un atteggiamento, una conferma di quel sentimento che il film a un certo punto sembra mettere tra le parentesi della missione che porterà la donna vicina alla morte; una rivelazione che arriva però nell’avvincente e teso finale che vede Devlin prendere finalmente l’iniziativa e mettere la vita di Alicia in salvo.
La verità del sentimento può venire così allo scoperto dandosi come il motore di un cambiamento in armonia con il proposito di Notorius di alludere come dietro ogni aspetto del reale possa nascondersi un’altra verità a cominciare dalle bottiglie di vino in cui si conservano dosi di uranio e che Alicia e Devlin fingono di non aver scoperto inscenando un bacio che distoglie momentaneamente Sebastien dallo scoprire che sua moglie è una spia. Un film di alta raffinatezza che rappresenta, nella sua luminosa compiutezza, quasi un corpo a sé nella pur ricchissima e sfaccettata filmografia del talentuoso cineasta, con due attori portatori di una rara alchimia di stile e fascino che incanta. Così come incanta e disarma il lungo bacio che supera le maglie della censura e si afferma come una pagina di passione e desiderio in grado di invitare chi guarda il film a proiettarsi dentro le immagini e a condividere le emozioni di Alicia e Devlin.
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