Ultimo tango a Zagarol
Regia: Nando Cicero; commedia, Italia 1973
Interpreti: Franco Franchi, Martine Beswick, Gina Rovere, Nicola Arigliano, Franca Valeri, Loredana Mongardini, Ugo Fangareggi, Nerina Montagnani, Jimmy il Fenomeno
Ore 21.00, Cine34, canale 34, durata 100′
Franco (Franco Franchi) è un uomo vessato da una moglie dispotica, Margherita (Gina Rovere), che lo schiavizza e lo umilia riservando tutte le sue amorevoli attenzioni su un ambiguo cliente (interpretato da un irresistibile Nicola Arigliano) dell’albergo a ore gestito dalla coppia. Mentre il fortunato pensionante vive ormai in pianta stabile nella soffitta, senza pagare pigione e godendo dei favori (anche culinari) della donna, Franco è costretto ad ogni tipo di privazione compresa una rigida dieta (e la fame inappagata lo affliggerà per tutto il film). Esasperato, l’uomo decide di abbandonare la tirannica consorte e va a vivere in un appartamento vuoto e fatiscente. Nel suo vagabondare per le strade di Roma conosce una bella ed enigmatica ragazza (Martine Beswick) con la quale instaura una bizzarra relazione in cui però, ancora una volta, ad essere dominato è sempre lui. Quando Franco viene reclutato come attore dilettante per girare un documentario impegnato, anche la regista che lo dirige (Franca Valeri) finisce con l’umiliarlo decidendo di violare la sua intimità e di immortalarlo seduto sulla tazza del gabinetto, a dimostrazione che il suo destino sembra quello di essere costantemente vittima dell’autoritarismo delle donne. Memorabile la scena finale della gara di ballo a Zagarolo, alle porte di Roma, sulle note del brano Il tango della manomania cantato dallo stesso Franco Franchi.
Scritto e prodotto da Mario Mariani, diretto da Nando Cicero e grande successo al botteghino, Ultimo tango a Zagarol nacque come una parodia – per alcuni critici italiani, contraddistinti dal solito distacco intellettuale, si trattava di una “stanca, stanchissima parodia” – del celebre e discusso Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972), anche se recentemente Morando Morandini, rivalutando a posteriori il film, lo ha definito “più una cupa rilettura che una semplice satira”. Rispetto all’originale, i ruoli maschile e femminile risultavano invertiti: il personaggio di Franco Franchi corrispondeva a quello di Maria Schneider, “creatura vinta e schiavizzata” (parole di Franchi), mentre la Beswick era calata nel ruolo dominante di Marlon Brando. Il maestro Bertolucci, non molto contento di una parodia, aveva perfino minacciato querela e fu solo per intercessione di Carmelo Bene che alla fine abbandonò l’idea di intraprendere azioni giudiziarie contro i produttori, ma non volle mai vedere il film. “Mi rifiutati di vederlo e non voglio vederlo”, confessò il regista, “perché è un mito e non deve essere infranto. E poi perché non voglio scoprire che Ultimo tango a Zagarol è meglio di Ultimo tango a Parigi”. Ma il film di Cicero poteva davvero essere meglio dell’opera di Bertolucci? Secondo il giudizio di Francis Ford Coppola e di Robert De Niro, che all’uscita del film si trovavano in Sicilia per girare il secondo capitolo de Il Padrino e che ebbero modo di vederlo, decisamente sì: furono talmente entusiasti, che il regista italo-americano si offerse di distribuirlo nelle sale statunitensi.
Ultimo tango a Zagarol è stato anche inserito in una lista di 150 pellicole europee da salvare, insieme a film di autori come Luchino Visconti, Federico Fellini, Ermanno Olmi.
Molto affezionato a questa esperienza cinematografica solista, l’unico rammarico di Franco Franchi fu che Ultimo tango a Zagarol venne vietato ai minori di 14 anni e di conseguenza, scambiato erroneamente per uno dei tanti filmetti erotici in voga negli anni Settanta, molti lo fraintesero giudicandolo una caduta di stile nella carriera dell’attore palermitano, “un segnale d’addio al cinema formato famiglia”. “Con Ultimo tango a Zagarol, il mio primo film vietato, non ho voluto fare del cinema erotico”, aveva spiegato Franchi, “anche se poi in alcune scene offro agli spettatori il mio nudo integrale. Ma vi assicuro che le mie nudità non sono un bel vedere […] e poi era un nudo nella vasca, di schiena… Ma ho sofferto a farlo […]. Difatti, quando lo andai a vedere a Riccione, sentii il commento delle famiglie. Dicevano: «Ma pure questo ci si mette!». Era una cosa assurda per me, che avevo sempre avuto un pubblico di famiglie, di bambini. Mi sentii proprio un truffatore” (M. Giusti, a cura di, Continuavano a chiamarli Franco e Ciccio, Mondadori, Milano 2004, p. 171).
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